Qual è lo spirito dello studio della teologia in un cammino di formazione?
Da molti secoli la teologia è stata considerata una materia di studio. Ma, come ha affermato Benedetto XVI, Dio non è l’oggetto della teologia: ne è piuttosto il soggetto. Chi parla nella teologia è Dio stesso, e il nostro pensare e parlare serve perché Lui possa essere ascoltato. In questo senso è evidente che il parlare di Dio, la Parola di Dio sono essenziali in un cammino di formazione, sia quella fatta di studio sia quella fatta di vita cristiana quotidiana. Anche se la teologia ha assunto una veste “accademica” essa resta una delle espressioni più significative della vita cristiana, quindi lo studio teologico non può essere vissuto al di fuori di un cammino di autentica conversione e di servizio all’uomo.

Qual è la particolarità dello studio della teologia nel contesto della Chiesa marchigiana?
Credo che la particolarità dell’ITM sia il suo legame con il territorio, cioè con le chiese che sono nella nostra regione. Questo è un valore innanzitutto per gli studenti che la frequentano, la maggior parte dei quali provengono dalle nostre Diocesi. Poi per i docenti che sono tutti impegnati nella vita delle nostre comunità o come presbiteri o come laici. Indubbiamente questo insegnare part time ha i suoi svantaggi, ma ha anche il grande pregio di far nascere dalla vita delle comunità le domande sulle quali la teologia deve lasciar parlare Dio. Altra caratteristica, in base alle indicazioni che ci sono state date dai vescovi sia direttamente all’ITM sia nel Convegno ecclesiale del 2013, è quella di prestare una particolare attenzione alla teologia sacramentaria e, all’interno di questa, a due sacramenti: il sacramento dell’ordine e quello del matrimonio.

Descriva con un’immagine a lei cara il percorso dello studio teologico. 
La prima volta che ricordo di aver ascoltato un teologo è stato nel 1969 quando diciottenne ho preso parte a una conferenza dell’allora padre Carlo Maria Martini, rettore del Pontificio Istituto Biblico. Non ricordo esattamente cosa disse, parlava della testimonianza nella carità, ma ricordo l’umiltà con la quale egli si metteva di fronte alle Sante Scritture. Durante quell’ora più volte ripeté: “se possiamo dire qualcosa allora io direi che la Bibbia dice….”. Sette anni dopo ebbi la fortuna di poter cenare io e lui da soli e gli confidai che quelle parole, quel suo atteggiamento verso le Sante Scritture, mi avevano profondamente colpito e da lì era nato il mio desiderio di cercare in esse il volto di Dio. La sua risposta resta per me un riferimento essenziale. Mi disse: “Fa piacere sapere che tra le tante parole che si dicono ce n’è una che serve a qualcosa!” Mi auguro che anche per i nostri studenti, tra le tante parole che ascoltano, ce ne sia una che li aiuti a vivere e a testimoniare la nostra fede.

Giacomo Pompei (Diocesi di Macerata)

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