Nel marasma causato dalla globalizzazione, guardare al proprio vicino, soprattutto a tavola, può tornare ad essere un efficace sinonimo di garanzia. Ne è convinta Mirella Gattari, presidente regionale della Confederazione italiana agricoltori, intervistata per Emmaus sul ruolo del Made in Marche dell’alimentazione nazionale.

Il presidente della Cia Marche, Mirella Gattari
Il presidente della Cia Marche, Mirella Gattari

Presidente Gattari, qual è il suo commento ai recenti fatti di cronaca che hanno coinvolto la produzione italiana di olio extravergine d’oliva?
Dalle ultime polemiche sulla qualità dell’olio in Italia, possiamo dire di aver avuto ragione in passato nel diffondere le nostre segnalazioni. Oggi, come in passato, il nostro messaggio richiama al consumo Made in Italy, anzi, più specificatamente, Made in Marche. Aggrapparsi ai grandi nomi, infatti, non significa avere sempre la qualità. Molto spesso, questa la troviamo nei nostri contadini, ma fatichiamo a rendercene conto. Per quel che riguarda l’olio, pertanto, consiglio di rivolgersi all’agricoltore di fiducia o ai vari frantoi che troviamo nel nostro territorio.

Un discorso che sembra indigesto all’Unione europea…
Purtroppo, la normativa europea non ci aiuta, in quanto, dal 13 dicembre, entrando in vigore in tutti i Paesi membri, il regolamento n. 1169 abolirà l’obbligo d’indicare sulla confezione lo stabilimento di lavorazione degli alimenti. Rispetto alla produzione proveniente dalla Tunisia, invece, questa fa riferimento a un accordo commerciale del 1995 che, dati i recenti fatti di cronaca, l’Europa, la proposta è dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza Federica Mogherini, vuole modificare ampliandone l’esportazione senza dazi. Questa misura eccezionale, tuttavia, se accettata, riguarderà oltre 70mila tonnellate in aggiunta a quelle previste e avrà un impatto dannoso soprattutto nei confronti dell’Italia.

Di cosa si occupa il progetto «Spesa in campagna»?
«Spesa in campagna» è la bandiera dei nostri associati che hanno anche la possibilità di vendita diretta dei loro prodotti. In questo senso, è anche garanzia di produzione locale e localizzabile. In generale rispetto agli agricoltori ma nel panorama specifico della nostra regione, crediamo che il mancato acquisto di un prodotto di questo genere non rappresenti soltanto un danno economico per il produttore ma per tutti noi. Non garantendo un reddito dignitoso all’agricoltore, infatti, questi potrà decidere di abbandonare la propria terra, facendo venir meno il suo presidio che rappresenta anche una tutela importante per la popolazione. Le Marche hanno la fortuna di avere una legge di grande impatto emotivo (ma non ancora economico) che ha definito l’agricoltore, appunto, «custode del territorio».

La scomparsa dell’indicazione d’origine può rappresentare comunque un vantaggio per il marchio marchigiano?
Identificando quel prodotto in una zona specifica, il marchio «Qm» (Qualità garantita delle Marche) offre una sicurezza sia dal punto di vista del rispetto di un rigoroso disciplinare di produzione, che del controllo della tracciabilità, oltre che delle informazioni esaurienti della sua etichetta. Caratteristiche molto selettive che in altri Paesi ancora non è possibile trovare e che costituiscono un’alta garanzia per il consumatore.

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