giovanni borroniGiovanni Borroni*

Per contrabbandare il travisamento di una legge si potrebbe parlare di “aggiustamenti”, come se ormai rientrassero in un comune senso di interpretazione. Di sicuro, dopo la notizia di ieri (giovedì 21 gennaio), primo caso in Italia, di gravidanze ottenute da ovociti congelati da 10 anni, per fecondazioni omologhe, quando si riportano i risultati riscontrabili con la procreazione assistita, sulla stampa nazionale appare la procedura adottata nei centri riconosciuti dopo l’approvazione della Legge n. 40 del 2004 («Norme in materia di procreazione medicalmente assistita»), senza considerare che di accessorio, poi, ci sono tutte le successive aggressioni che si sono aggiunte a tale procedura.

La legge, infatti, nella sua interpretazione originaria, era destinata a quelle coppie eterosessuali che avevano problemi di fecondità. La sentenza del 2009 pronunciata dalla Corte costituzionale ha abolito il divieto di produzione soprannumeraria di embrioni umani, mentre la stessa legge ne prevedeva al massimo tre. Ancora, nel 2014 la Corte ha consentito la fecondazione eterologa, mentre, a novembre dello scorso anno, ha aperto la strada alla selezione eugenetica, con l’utilizzazione della diagnosi pre-impianto.

A questo punto, non si può confondere una esecuzione ordinaria di recupero di ovuli congelati, magari stagionati, per avviare una gravidanza, con il reperimento, a tal fine, di elementi estranei alla coppia, come gameti maschili o femminili, o, addirittura, di un utero da affittare, anche fuori della propria nazione. Tant’è vero che Eleonora Porcu, responsabile del Sant’Orsola di Bologna, luogo della fecondazione decennale, ha stigmatizzato le parole di Umberto Veronesi sull’utero in affitto come “antiumanista” e ha definito questa pratica come “una moderna forma di schiavitù femminile”.

La dottoressa Eleonora Porcu
La dottoressa Eleonora Porcu

Di gratuito, oggi, esistono solo gli embrioni soprannumerari che non sono stati più impiantati in utero ed eventualmente adottabili. Altro, come documentato, non c’è. Si calcola in 6 milioni di dollari il giro d’affari per questa pratica nel mondo, tanto che esiste anche una specie di listino prezzi: 15mila dollari è il prezzo di una madre surrogata in Canada, mentre ne bastano 30mila negli Stati Uniti. Nel mercato italiano il prezzo proposto si aggira tra i 100 e i 120mila dollari. Tutto questo sta avvenendo sotto i nostri occhi, nonostante la pronuncia della Consulta che ha ribadito come “la genesi della vita non è certamente riducibile a mero materiale biologico”.

Nel dicembre del 2015, il Parlamento di Strasburgo ha registrato un ampio consenso per l’emendamento al Rapporto sui diritti umani che “condanna la pratica della maternità surrogata che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce”. Recentemente, con un appello trasversale di femministe e nomi dello spettacolo, anche un manifesto del gruppo “Se non ora quando” riportava: «Noi rifiutiamo di considerare la maternità surrogata un atto di libertà o di amore e vogliamo che sia messa al bando perché i bambini non sono cose da vendere o da donare».

Le sentenze assolutorie verso genitori committenti che rientrano in Italia con un bebè in braccio nato da un utero in affitto sono ispirate a un asserito “diritto al figlio” che, tuttavia, nel nostro ordinamento non è mai esistito. Come afferma la presidente nazionale di Scienza & Vita, Paola Ricci Sindoni, siamo ancora in grado di “non cedere alle lusinghe della dittatura dei desideri che, in nome di presunti diritti dei più forti, rendono l’essere umano merce e tolgono dignità ai più deboli”.

*Presidente locale gruppo di sostegno all’associazione Scienza & Vita

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