Comunicazione e misericordia: un binomio accattivante quanto impegnativo. Da un Papa come Bergoglio, non ci si poteva certo aspettare un tema poco originale per la 50esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali di quest’anno, legata ovviamente all’Anno giubilare che la Chiesa sta vivendo.

«Le parole possono gettare ponti tra le persone, le famiglie, i gruppi sociali, i popoli. E questo sia nell’ambiente fisico, sia in quello digitale», si legge nel messaggio diffuso, come sempre, in occasione della festività di san Francesco di Sales (24 gennaio), patrono dei giornalisti e di quanti operano nel settore delle comunicazioni sociali. A chi vive questa professione come una “vocazione”, tuttavia, viene richiesto un impegno maggiore. Raccomanda infatti il Pontefice: «La parola del cristiano si propone di far crescere la comunione e, anche quando deve condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai la relazione e la comunicazione». Da qui, l’importanza della parola-chiave di questo Giubileo, «misericordia» appunto, quell’antidoto «capace di attivare un nuovo modo di parlare e di dialogare, come ha così eloquentemente espresso Shakespeare: “La misericordia non è un obbligo. Scende dal cielo come il refrigerio della pioggia sulla terra. È una doppia benedizione: benedice chi la dà e chi la riceve”», chiarisce papa Francesco citando addirittura «Il mercante di Venezia».

Poi, il rimando a quell’«incontro», tra l’atto del comunicare e la misericordia, «fecondo nella misura in cui genera una prossimità che si prende cura, conforta, guarisce, accompagna e fa festa». Un incontro a cui, nel settimanale «Frontiera», fa riferimento anche monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti e già direttore dell’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali della Cei, citando la deontologia giornalistica: «Collegare comunicazione e misericordia significa che al primo posto non c’è il “diritto di informazione”, ma il dovere di prossimità. La misericordia, infatti, non trasmette contenuti ma mette in moto processi, e regala uno sguardo nuovo a chi la esercita e a chi la riceve».

Nell’ambito di una reale cultura dell’«incontro fecondo», comunicare permeati dalla misericordia di Dio significa prima di tutto aprirsi alla comprensione, al dialogo e al perdono.

Si tratta, senza dubbio, di un’opportunità propizia, che ci permette di approfondire ancora meglio la ‘mission’ a cui siamo chiamati come operatori della comunicazione. In che modo si può parlare di misericordia attraverso i mezzi di informazione di cui disponiamo? Come tradurre, con il linguaggio della modernità, il messaggio che il Santo Padre ha voluto consegnarci per il 2016? Nella Bolla di Indizione del Giubileo, al numero 12, il Pontefice afferma che «la Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona», aggiungendo: «I suoi gesti devono trasmettere misericordia per penetrare nel cuore delle persone e provocarle a ritrovare la strada per ritornare al Padre». Ecco quindi che, nell’ambito di una reale cultura dell’«incontro fecondo» secondo la dimensione comunicativa degli uomini e delle donne di oggi, comunicare permeati dalla misericordia di Dio significa prima di tutto aprirsi alla comprensione, al dialogo e al perdono.

Sentimenti importanti e altrettanto faticosi, specialmente in un’era in cui la forza pervasiva della Rete, e dei social network in particolare, tende a condizionare i rapporti umani (leggi Qui per un ulteriore approfondimento). Riconsegnare il potere alle parole misurate e, soprattutto, alle azioni, agli sguardi in grado di favorire uno scambio comunicativo armonioso è il cuore del tema scelto da Bergoglio. Sì, allora, ad una connessione di vita in cui essere sempre stimolati e sanamente provocati, purchè post, tweet e commenti non generino incomprensioni e non manchi mai il vivo desiderio di percorrere la via della riconciliazione: lasciarsi lusingare dalle utili risorse che l’on line offre perdendo di vista l’arricchimento che solo la relazione interpersonale può donare sarebbe un modo ottuso di guardare al domani, anche sotto il profilo educativo. «Non è la tecnologia che determina se la comunicazione è autentica o meno, ma il cuore dell’uomo e la sua capacità di usare bene i mezzi a sua disposizione», ricorda infatti Francesco.

Festeggiare dunque, sulla base di queste indicazioni preziose, la ricorrenza di San Francesco di Sales nell’Anno Santo giubilare non può che rappresentare un motivo di “giubilo” in più, capace di esortarci a svolgere con dedizione l’impegno a cui siamo chiamati nei vari media. Senza mai dimenticare che, come scriveva proprio il Santo “comunicatore”, che «non è per la grandezza delle nostre azioni che noi piaceremo a Dio, ma per l’amore con cui le compiamo». Anche tra le pagine della nostra quotidianità.

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