Non è una novità: in chiesa siamo pigri! Pensiamo a cosa accade in genere nelle nostre comunità qualche minuto prima che il sacerdote faccia il suo ingresso per celebrare la Sacra Eucaristia. «Cosa cantiamo?».

Batto ancora sullo stesso chiodo, perché vorrei che ci fosse maggiore serietà e consapevolezza, soprattutto in chi ha la responsabilità del canto liturgico. Siamo dei fenomeni nel saper trovare giustificazioni per ogni cosa. «Sì, però…».

Siamo riusciti ad usurare, a consumare, a saturare, a rendere inadatti e incantabili i pochi interventi in canto che le nostre comunità conoscono in tutto lo stivale italico e questo per vile pigrizia con la scusa che «almeno questo lo cantano tutti». Ma quanto ci siamo impegnati ad insegnare canti nuovi ed adatti? Quanto ci impegniamo a non ripetere la solita litania «non ho avuto tempo…» con tutte le sue varianti per giustificare un immobilismo repertoriale che inizia a puzzare di polvere e muffa?

È il caso del canto “Symbolum ’77”, altrimenti conosciuto come “Tu sei la mia vita”, composto da mons. Pierangelo Sequeri nel 1977 per la Traditio Symboli e pubblicato nel fascicolo “In cerca d’autore” (edizioni Rugginenti, Milano, 1978).

Mons. Pierangelo Sequeri è un teologo nato nel 1944. Figlio di due musicisti ha studiato violino e composizione. Ordinato sacerdote nel 1968 ha proseguito gli studi ottenendo un diploma in Biblioteconomia musicale all’Università di Urbino e un dottorato in teologia nel 1972. Dal settembre 2012 è preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale dove è anche professore ordinario di Teologia fondamentale; è inoltre incaricato di Estetica teologica presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.

Il canto “Symbolum ’77” fu commissionato a Sequeri dall’Azione cattolica per il ripristino di un’antica liturgia tipicamente ambrosiana, la “consegna del Credo” ai catecumeni il sabato prima della domenica delle Palme.

Nella pubblicazione della Rugginenti, il canto “Symbolum ’77” è introdotto con queste parole: «Questo canto può essere considerato la professione di fede appassionata ma non sentimentale, profonda ma non arida, dell’adolescenza». Il testo è ampiamente la parafrasi del Credo, in particolare la seconda e la quarta strofa; la stessa struttura testuale prende in prestito il modello del salmo biblico con il frequente ricorso all’ “io” (prima e terza strofa). Non si trovano riferimenti espliciti all’Eucaristia, perché non nasce per questo uso rituale, eppure abusiamo nell’utilizzarlo durante la processione di comunione.

I contenuti del canto di comunione sono esplicitati nell’Ordinamento Generale del Messale Romano ai numeri 86 e 87

Mentre il sacerdote assume il Sacramento, si inizia il canto di Comunione: con esso si esprime, mediante l’accordo delle voci, l’unione spirituale di coloro che si comunicano, si manifesta la gioia del cuore e si pone maggiormente in luce il carattere “comunitario” della processione di coloro che si accostano a ricevere l’Eucaristia. Il canto si protrae durante la distribuzione del Sacramento ai fedeli. Se però è previsto che dopo la Comunione si esegua un inno, il canto di Comunione s’interrompa al momento opportuno.
Si faccia in modo che anche i cantori possano ricevere agevolmente la Comunione. (Ordinamento Generale del Messale Romano n.86)

Per il canto alla Comunione si può utilizzare o l’antifona del Graduale romanum, con o senza salmo, o l’antifona col salmo del Graduale simplex, oppure un altro canto adatto, approvato dalla Conferenza Episcopale. Può essere cantato o dalla sola schola, o dalla schola o dal cantore insieme col popolo.
Se invece non si canta, l’antifona alla Comunione proposta dal Messale può essere recitata o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, altrimenti dallo stesso sacerdote dopo che questi si è comunicato, prima di distribuire la Comunione ai fedeli. (Ordinamento Generale del Messale Romano n.87)

Non ho nulla contro questo canto che utilizzo qualche volta nell’animazione musicale della liturgia, ma riusciamo ad utilizzare altro? Sforziamoci, che non ci fa male e non fa male all’assemblea, anzi la tonifica e la rende viva e partecipe!

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