Lo sguardo dolce non tragga in inganno, perchè custodisce in sè una grinta degna delle migliori reporter. Così come il suo modo di osservare con attenzione i fatti, raccontando il mondo impazzito dagli orrori e dalla guerra che le ruota attorno con uno stile diretto e coinvolgente.

Asmae Dachan
Asmae Dachan

D’altro canto lei, giornalista professionista italo-siriana, a «A passo di notizia», il premio conferitole nel marzo 2015 dall’Ordine dei giornalisti delle Marche, sa davvero starci, guadagnandosi sempre più – e meritatamente – stima per il suo lavoro. Il nome di Asmae Dachan non è più una novità ormai per il nostro territorio. Cronista e scrittrice, è nata ad Ancona nel 1976 ed è madre di due ragazzi, Khalil e Nur. Cura il blog Diario di Siria ed è attivista per i diritti umani, impegnata da anni nel dialogo interreligioso.

Ancora oggi risuonano forti le parole schiette di un’intervista che mi rilasciò giusto un anno fa: «Io sono una cercatrice di verità e di testimonianze: vado avanti per tenere alta l’attenzione sul massacro che si sta consumando ormai da troppo tempo. Ci si è ricordati della Siria solo per le minacce dell’Isis. Ma, in questo Paese, tre milioni e mezzo di persone sono profughi: tra le vittime, 20mila sono bambini. Come si definisce tutto questo se non un genocidio dimenticato?».

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Asmae è recentemente balzata alle cronache per il reportage in esclusiva pubblicato nel magazine Panorama che l’ha vista protagonista di uno straordinario documentario realizzato a Bruxelles, nel quartiere di Molenbeek dove erano nascosti gli attentatori delle stragi compiute in Belgio e Francia. Lei, islamica, nella «tana degli uomini bomba», come titolava la cover, ha descritto senza filtri  gli “scorci” in cui sono vissuti i kamikaze che hanno seminato terrore a Parigi, nel novembre scorso, e nella capitale belga, il 22 marzo.

Domani, venerdì 6 maggio, alle ore 15 Dachan sarà ospite presso l’Aula Magna dell’Unimc, a portare la propria testimonianza «Tu, Siria» nel corso dell’incontro «Il diritto di migrare tra sogni e inganni», promosso nell’ambito di Macerata Racconta.
Emmausonline concede un commento sul dossier realizzato per il settimanale italiano, facendosi portavoce di un Paese in cui la speranza di una vera pace tra i popoli non sia solo una chimera.

Asmae, come questo reportage di successo?
A seguito degli attentati che hanno colpito Bruxelles, l’idea è stata quella di cercare di conoscere da vicino il quartiere dove sono nati e vissuti e dove si sono poi nascosti i terroristi, capire che clima si respira tra quelle vie, che tipo di gente ci vive.

La copertina del numero del settimanale con il reportage curato in esclusiva da Dachan
La copertina del numero del settimanale con il reportage curato in esclusiva da Dachan

Cosa vuol dire per una siriana raccontare i fatti del terrorismo? Quale la tua opinione sullo scenario politico in cui questi terribili crimini si inseriscono?
La Siria negli ultimi anni è stata colpita da due forme terribili di terrorismo: quello di Stato, con il governo che bombarda e assedia diverse città e villaggi e quello dell’Isis, che colpisce in modo indiscriminato e barbaro. Sono anni ormai che racconto questi orrori e non è mai semplice. Non è vero che si crea assuefazione. Lo sgomento è sempre grande. A prescindere dal fatto che io sia siriana, per un giornalista è sempre difficile trovare le parole giuste quando bisogna raccontare la morte violenta di innocenti. Il terrorismo è un cancro che si muove come una multinazionale del crimine, tutelando gli interessi di pochi, adescando menti fragili, strumentalizzando ideologie, causando stragi di innocenti e facendo vivere nel terrore e nella paura l’umanità intera. Per quanto riguarda lo scenario internazionale, credo che stiamo vivendo un momento di grande squilibrio, in cui si stanno ridisegnando gli equilibri geo-politici e le alleanze strategiche. Tutto ciò sta avvenendo nella totale indifferenza dei diritti dei popoli. Vengono sistematicamente violate le convenzioni internazionali sui diritti umani e nessuno sembra più preoccuparsene.

Nel dossier da te curato racconti di incontri molto particolari. Nel ghetto, nel centro antiviolenza: che clima si respira davvero a Molenbeek?
A Molenbeek ho trovato un clima teso, con persone scioccate per ciò che è accaduto, incredule, angosciate. In molti mi hanno detto che hanno paura e che pensano di andare via, per non far crescere i propri figli in un quartiere che sarà per sempre ricordato come il quartiere dei terroristi. Altri mi hanno dato l’impressione di essere ambigui, indifferenti, persino conniventi, ma a onor del vero questi soggetti sono una minoranza. Pericolosa e imprevedibile, ma una minoranza. Le donne, i giovani e gli anziani di Molenbeek sono persone, native e migranti, che lavorano, studiano, cercano di far crescere i propri figli nella legalità. Ciò che ho avvertito con forza è, però, la mancanza di una reale politica di condivisione culturale e sociale. Il quartiere, nella zona arabizzata, è diventato un ghetto e c’è una lontananza pericolosa tra i cittadini autoctoni e quelli naturalizzati che restano confinati in una realtà che non è né quella dei rispettivi Paesi d’origine, né quella locale. La mancanza di un reale senso di appartenenza rende molti giovani, anche se istruiti, facilmente abbordabili dai cosiddetti cattivi maestri, che fanno leva sulle loro fragilità identitarie e ne fanno strumenti per la loro propaganda demagogica e piena di odio. La malavita ha bisogno di manovalanza per mettere in atto i suoi piani e questi giovani diventano facili pedine.

Il quartiere belga di Molenbeek,
Il quartiere belga di Molenbeek, «tana degli uomini bomba»

Che lingua parla la paura? Come vivono gli immigrati di fede musulmana che vivono in Belgio quello che sta accadendo nel mondo: che significato ha la parola «pace» per loro?
La paura, purtroppo, ha un linguaggio universale. Ma universali sono anche la lingua dell’amore, della pace, della speranza. I musulmani sono in Belgio da circa mezzo secolo e con fierezza dicono che amano il Paese che li ha adottati e con il loro lavoro cercano di contribuire ogni giorno alla sua crescita. La pace è un bene primario per tutta l’umanità, a prescindere dall’appartenenza etnica, sociale e religiosa e da questo difficile momento storico si uscirà solo con un impegno collettivo finalizzato a costruire dialogo, cooperazione, confronto, rispetto. Non bisogna cedere né agli estremismi, da qualunque parte provengano, né ai ricatti. Finché continueranno le guerre, fermenterà il terrorismo, perché questi mali sono le due facce della stessa medaglia. Bisogna pensare a un nuovo Umanesimo, che rimetta al centro di ogni decisione il bene comune di tutti i popoli del mondo. Siamo tutti fratelli, condividiamo e conviviamo nello stesso Pianeta e non si può pensare di ignorare le sofferenze degli altri.

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