1932212_10152369999284938_5314942500072650988_n*don Flaviano D’Ercoli

Chi conosce il futuro dell’Oratorio? E quello presente? Quando don Bosco creò l’Oratorio salesiano rinnovò una solida tradizione ecclesiale. Il suo originale contributo fu pensare all’Oratorio come ad una “casa”: non solo attività culturali o parrocchiali ma Famiglia effettiva, in cui diventare adulti.

Se san Filippo Neri aveva lavorato sulla cultura, soprattutto musicale, e la tradizione lombarda si era legata alla parrocchia, don Bosco ricondusse tutto alla sua esperienza di famiglia: «Quello che ho so l’ho imparato tutto da mia madre». Da qui è partito per avventurarsi in qualsiasi ambiente, dalla scuola alla formazione professionale. In Piemonte come in Patagonia, in principio fu una casa aperta.

È nell’indole di ogni educatore stare dietro alle novità che ogni giovane porta con sé quando nasce. E i Salesiani sono educatori dalla testa ai piedi. In una società in cui la scuola cattolica non è più una necessità verbalizzata e in cui il tempo libero è sparito dal calendario giornaliero di ciascun giovane, cosa potrai mai rappresentare la parola «oratorio»? Sì, ci sono alcuni giovani, soprattutto immigrati, che si muovono secondo le necessità del tempo andato: spazi per giocare liberamente, luoghi di socializzazione non troppo formalizzata, sostegno scolastico per carenze evidenti. A questi giovani l’Oratorio classico è ancora molto utile. Ma non sono più la maggioranza.

A Macerata la maggior parte degli esseri umani tra 8 e 25 anni ha un tempo scandito in modo scientifico, interessi coltivati doviziosamente e relazioni tra coetanei mediate dalla scuola e dai social network. Al resto pensa la famiglia. E cos’è il resto? E la famiglia ce la fa? Qui viene il bello. Per creare cose stupende occorre guardare le povertà: il Vangelo è per i poveri. Quale povertà viene a galla nei giovani italiani?

I Salesiani a Macerata dicono di «ni». Guardiamoli bene i cuori di questi giovani: per lo più figli solitari. Ricchi di tutto ma non di speranza per il futuro; incerti sulle evidenze della vita: l’amore, la nascita, la morte, il dolore, la gioia, il desiderio, la politica… Ecco la povertà: i giovani non hanno più l’occasione di confrontarsi con un’idea definita di vita, di umanità e di società.

Ci vorrebbe una casa piena di vita. Una casa a conduzione familiare. E riecco don Bosco. A Macerata ci proviamo: costruire una casa con l’aiuto dei giovani che la desiderano e delle famiglie che vogliono ospitare ed essere ospitate, conoscere e farsi conoscere. Una casa in cui vivere insieme tra genitori e figli, magari con i compagni di classe, con quelli della mia associazione, con quelli del catechismo.

Una «scuola di vita» alla scuola di don Bosco. E, intorno alla casa, mille attività: lo sport, il teatro, la musica, le feste. Perché non si smette mai di crescere vivendo insieme il tempo libero, le domande culturali, la vita di fede e la voglia di scoprire il senso del proprio futuro. Gli interessi dei giovani come porta di ingresso per relazioni molto più profonde di quelle meramente consumistiche con cui la cultura dominante ci sta impoverendo sempre di più. Solo che serve una famiglia, serve una casa: serve don Bosco e il suo antico Oratorio.

*direttore dell’Opera salesiana di Macerata

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