L’estratto di un’intervista «rilasciata quando era in vita, partecipata con reciproca amicizia e sincerità» e che ha valore di «documento inedito». Così si presenta il contributo firmato per Emmausonline dal critico d’arte Lucio Del Gobbo, che offre una lettura preziosa dell’intensa attività pittorica di Piero Ceccaroni, alla cui figura è intitolata la mostra «Dipinti su ceramica», allestita a Recanati dal 2 luglio al 4 settembre. Le foto contenute all’interno del servizio corrispondono a cinque delle opere in mostra presso il Museo di Villa Colloredo Mels.

 

La vicenda artistica di Piero Ceccaroni inizia quando, giovanissimo, sperimenta le suggestioni dell’arte ceramica sotto la guida dello zio Rodolfo, che nelle cantine del palazzo di famiglia a Recanati aveva costruito un forno apposito, e poi un altro ancora, al fine di dar sfogo alla sua creatività di pittore-poeta, consapevole del fatto che con la ceramica si può essere pittori, e si può essere anche poeti. Fu questa la prima grande lezione che lo zio impartì ai propri nipoti, tra cui Maria Grazia e Piero, futuri artisti entrambi. Piero, facile preda di immaginifici incanti per sensibilità ed indole, non poteva sfuggire al fascino e all’arcano di certe alchimie sperimentate da quel “maestro” a lui così vicino, se non per età, per fantasie e sentimenti: «Erano operazioni complicate e laboriose quelle che lo zio svolgeva senza uscire dall’ambiente surriscaldato del forno per non prendere freddo e rischiare di ammalarsi; sua moglie lo assisteva in questa sua passione, portandogli il pranzo su un cestino, alla maniera con cui venivano rifocillati i contadini nei lavori di campagna, evitando che la cottura non subisse rallentamenti o interruzioni, con danno alle opere».

Al fascino delle cose che se ne traevano si aggiungeva quello delle tenerezze domestiche che vi si svolgevano. Miscuglio affascinante in un luogo magico in cui i ragazzi entravano con stupore e grande divertimento, catturati dal manifestarsi delle scoperte – che elettrizzavano anche lo zio quando capitavano – e dalla varietà di emozioni che ne scaturivano. Rodolfo se ne compiaceva, invitava i nipoti a provare con pezzetti di argilla appena modellata, da cuocere in proprio. Era un uomo affettuoso, cordiale, di grandi risorse e fantasia, capace di inventare sempre qualcosa che rendesse il lavoro “sorprendente”.

“Il mio paese” o “La montagna tra i fiori”, 1980. Pannello composto di 9 piastrelle. Lati cm 45 x 45. Terraglia dipinta in policromia. Firmato e datato in basso a destra: Piero Ceccaroni 31 luglio 1980, Collezione dell’autore.
«Il mio paese» o «La montagna tra i fiori», 1980. Pannello composto di 9 piastrelle.
Lati cm 45 x 45. Terraglia dipinta in policromia.
Firmato e datato in basso a destra: Piero Ceccaroni 31 luglio 1980, Collezione dell’autore

Avviandoli alla particolare disciplina della ceramica, condivideva con i nipoti segreti e peculiarità, rendendoli partecipi di uno speciale orgoglio: quello del fare originale, e dell’assoluta indipendenza creativa. Come tutti i ricercatori solitari, Ceccaroni trasmetteva il fascino di un’avventura diversa e particolare, seppur basata su una concezione classicheggiante, legata ai valori del passato, antitetica alle mode correnti – dunque antinovecentista – arricchita da inediti influssi regionalistici, oltre che stimolata da tradizioni popolari, come appunto se ne potevano cogliere in un ambiente di provincia prevalentemente agricolo come quello recanatese dell’epoca.

Era evidente, oltretutto, che quella sua attività artistica contribuiva a un’armonia e a una serenità che si espandevano in famiglia, traducendosi per ciascuno in padronanza di sé e senso di libertà. Il piccolo cenacolo era semplice, senza pretese, ma intriso di un amore infinito per l’arte che si trasmetteva con responsabilità dei giovanissimi allievi, a cui lo zio, come già detto, non mancava di affidare lavori da svolgere, impartendo consigli e spronandoli continuamente.

“La magia della montagna”, 1981. Pannello composto di 12 piastrelle. Lati cm 60 x 45. Terraglia dipinta in policromia. Firmato e datato in basso a destra: Piero Ceccaroni 20 maggio 1981 Collezione dell’autore.
«La magia della montagna», 1981. Pannello composto di 12 piastrelle.
Lati cm 60 x 45. Terraglia dipinta in policromia.
Firmato e datato in basso a destra: Piero Ceccaroni 20 maggio 1981, Collezione dell’autore

L’esordio di Piero, come artista, si colloca appunto nel momento in cui gli venne proposta un’idea da svolgere in pittura: evento cruciale che avrà i suoi sviluppi dopo decenni, quando egli, convinto ormai della propria vocazione artistica, decise di trarre profitto da quella tecnica e da quella indipendenza che suo zio gli aveva trasmesso come primo comandamento. Così, restando l’ammirazione e l’affetto, egli ne fece strumento per svolgere nel tempo un’autonoma ricerca, inventando modi e criteri del tutto inediti, unicamente “suoi”.

Come tutti i ricercatori solitari, Ceccaroni trasmetteva il fascino di un’avventura diversa e particolare, seppur basata su una concezione classicheggiante, legata ai valori del passato, antitetica alle mode correnti – dunque antinovecentista – arricchita da inediti influssi regionalistici

Tanta era stata la voglia di Rodolfo di testimoniare il suo tempo e le tradizioni del passato, quanto invece sarebbe stato l’intento di Piero di astrarsene in modo confacente: una visione fantastica, sensibilmente critica e introspettiva, era quella che maggiormente si addiceva al suo carattere di artista intellettuale. Oltretutto, si rendeva conto che l’arte contemporanea era ormai avviata su una strada di crescente soggettività e individualismo, traendo da queste sue qualità la più invitante incondizionata indipendenza: luogo di originalità non solo in termini di esibizione, ma di indagine e scoperta, ove l’aspetto psicologico, introspettivo, fosse essenziale e determinante nell’esercizio del fare e dell’immaginare. Anche il suo rapporto con la ceramica sarebbe stato diverso. Mentre suo zio modellava e decorava col desiderio di utilizzare le mani alla maniera degli artigiani, Piero considererà il lavoro e i materiali semplici strumenti di pensiero e supporto inventivo; ad interessarlo maggiormente sarà la pittura e i molteplici “voli” che essa consente.

Restavano, comunque, dell’insegnamento originario, l’amore per il segno esatto e rigoroso, il nitore della visione, mai pasticciata ed approssimativa, seppur ricca di spontaneità, priva di ripensamenti, quasi fatale. Rivedendo oggi ogni suo lavoro è come riscoprire in un fotogramma una particolare sensazione, occasionalmente catturata, unica, irripetibile. Il pericolo della ripetizione è accortamente rifuggito, evitato quasi con repulsione. Non c’è ombra di programmazione nel suo procedere; il lavoro si svolge così, per effetto di un dettato quasi automatico, alla maniera dei surrealisti. Il pensiero, anche lucido nell’indagare, è sempre legato a un’emozione dominante, e a un’aspettativa continua di rivelazione: «Se mancasse questo preferirei non fare!». Una visione che cresce e si evolve interiormente, anche quando attinta da soggetti reali, come dal paesaggio e la natura intorno, o da situazioni intensamente vissute. La ceramica se ne rende strumento atto a celebrare e tramandare nel tempo, con rituali che in qualche modo solennizzano l’occasionalità delle sensazioni in un assoluto emozionale consolidato.

«Aprile a Recanati», 1986. Pannello composto di 12 piastrelle. Lati cm 60 x 45. Terraglia dipinta in policromia. Firmato e datato in basso a destra: Piero Ceccaroni 15 novembre 1986 Collezione dell’autore.
«Aprile a Recanati», 1986. Pannello composto di 12 piastrelle.
Lati cm 60 x 45. Terraglia dipinta in policromia.
Firmato e datato in basso a destra: Piero Ceccaroni 15 novembre 1986, Collezione dell’autore

Piero è ben sicuro di avere in essa la sua «tecnica di elezione», la più attraente e congeniale, suscettibile, oltretutto, di innovazioni e scoperte. La sua ricerca si fa carico anche di tale prospettiva, ponendosi come mai conclusa, sia in senso tecnologico o linguistico, sia riguardo alla poetica. La sua impressione è di trovarsi in “mezzo al guado”, in assoluta corrispondenza con un personale modo di essere, aderente alla propria indole. La componente artigianale si risolve soprattutto nella particolarità delle scelte che il materiale stesso suggerisce; la lavorazione è del tutto subordinata alle “necessità” dei contenuti.

Il pensiero, anche lucido nell’indagare, per l’artista è sempre legato a un’emozione dominante, e a un’aspettativa continua di rivelazione: «Se mancasse questo preferirei non fare!»

Nella visione affiorano impressioni vagamente gotico-fiorite, medievaleggianti, surreali ma di un nitore quattrocentesco. Dei pittori del passato interessano particolarmente Bosch e Bruegel; ma sono richiami quasi fortuiti, graditi quanto inaspettati. Manca persino il desiderio di spiegarle a se stesso, le sue opere, tanto l’immaginazione vuol’essere autonoma e incondizionata. Il paesaggio marchigiano vi è presente, ancorché trasfigurato, ed è un paesaggio “vicino”, familiare, amato.

Piero rivela che la prima idea compositiva gli è venuta ispirandosi a certe rappresentazioni cartografiche delle proprietà di famiglia: i tipici cabrei. «Decori» vegetali minuziosamente descritti, cieli a volte sereni altre volte corruschi, «lavorati» a punta di pennello; «germinazioni», presenze minimali, «in fieri», che acquistano sembianza tra il vegetale e l’umano. Dal tutto emana un ché di arcano e mistico; un fulgore ricco di spiritualità, elaborato nell’alternanza dei chiari e degli scuri, con rari inserti di colore sapientemente distribuiti. Prestiti da un immaginario anche infantile, che mette in relazione e confronto situazioni variamente vissute con la «certezza stabile» della natura, dei suoi campi, del suo cielo. La narrazione si rende avvincente anche per il suo grado di enigmaticità. E si dipana con la gradualità di un mosaico in cui ogni tessera, o «formella», costituisce elemento di omogeneità pur mantenendo una “validità” propria. Il processo operativo stesso, nei vari stadi, nei suoi smontaggi e nelle sue ricomposizioni, è concepito in modo di preservare tale doppia opportunità di lettura: il particolare nel generale e viceversa.

«La mansarda», 1989. Pannello composto di 12 piastrelle. Lati cm 45 x 60. Terraglia dipinta in policromia. Firmato e datato in basso a destra: Piero Ceccaroni, 5 novembre 1989 Collezione dell’autore.
«La mansarda», 1989.
Pannello composto di 12 piastrelle.
Lati cm 45 x 60. Terraglia dipinta in policromia.
Firmato e datato in basso a destra: Piero Ceccaroni, 5 novembre 1989, Collezione dell’autore

Emergono reminiscenze letterarie:un favoleggiare complesso che si snoda su registri ed umori alterni, emergenti da una percezione profonda, di ricordi e fantasiose sensazioni. Piccoli uomini affaccendati, coprono con lenzuola parti di suolo: forse per nascondere e cancellare, forse per custodire nell’angolo “domestico” ed intimo della coscienza. Fatti drammatici che accadono inattesi, con la fatalità di un destino…: l’uomo che da un asse di equilibrio cade rovinosamente in un canneto. Dimore chiuse e spente, come in tempo di guerra. Soffitte gremite di cianfrusaglie e giocattoli che si rioffrono ai giochi della memoria. A un immaginario bucolico, fuori del tempo, si contrappongono costruzioni meccanicamente evolute, che alludono ad un presente supertecnologico non privo di rischi.

Il ricordo si fa tutt’uno con la riflessione e un pensiero giudicante. «La mia visione non è chiara e risolta come quella di mio zio, ma sfiorata dall’ansia, a volte, e allo stesso tempo, per desiderio, da un intimismo conciliante e tenero; sempre e comunque rasserenata da elementi naturali, vicini alla sensibilità dell’agricoltore, alla terra, al grano, all’erba, a quella natura che non finisce mai di sorprendere e ammaliare». Una visione lirica, uniformata ad un senso estetico latente ove l’accostamento delle componenti risulta in modo euritmico, significante.

Piero dichiara di essere un inguaribile esteta «anche se l’estetismo non c’entra niente con il sentimento». Ma nel suo caso le due componenti si combinano inscindibilmente: «L’arte, particolarmente la poesia e la bellezza, servono anche a questo, a conciliare l’esigenza dell’animo in un rapporto con l’universale». Un proliferare di forme pulviscolari, che rappresentano appunto la bellezza disseminata nel paesaggio: espressione polimorfica di una natura che si rende dispensatrice di sentimenti. Un amore centellinato e goduto al massimo dell’emozione, quello di Piero rivolto al paesaggio, a quel paesaggio marchigiano di cui la poesia leopardiana è riflesso e benedizione. E nel procedere del racconto Kafka incrocia più e più volte il «giovane favoloso». La figurazione supplisce alla scrittura e alla parola stessa. «Nell’arte di Piero c’è tanto pensiero, scritto in gioventù di suo pugno»: è sua sorella Maria Grazia ad affermarlo puntualizzando.

«La mia visione non è chiara e risolta come quella di mio zio, ma sfiorata dall’ansia, a volte, e allo stesso tempo, per desiderio, da un intimismo conciliante e tenero; sempre e comunque rasserenata da elementi naturali, vicini alla sensibilità dell’agricoltore, alla terra, al grano, all’erba, a quella natura che non finisce mai di sorprendere e ammaliare»

Una sensazione complessiva di “segretezza” e di originalità, fa di queste opere un “unicum” da accogliere come provvidenza rara e irripetibile. Il mistero e lo stupore vi si accampano, come elementi permanenti, di distinzione e novità rispetto a ciò che è stato fatto sinora nell’arte ceramica. Documento di una libertà “virile” e di un’autenticità che garantiscono l’assoluto valore dell’artista. Ma chi può negare che in tutto ciò non sia assente un’affettuosa fedeltà, e la gratitudine per l’insegnamento ricevuto nell’infanzia da uno zio “toccato” da altrettanta originalità nell’unire sapienza artigiana e poesia?
Sembra confermarsi in ciò una tradizione, o saga familiare, che a tutti gli effetti potrebbe intitolarsi «dei Ceccaroni».

«Agosto a Recanati», 1987. Pannello composto di 12 piastrelle. Lati cm 60 x 45. Terraglia dipinta in policromia. Firmato e datato in basso a destra: Piero Ceccaroni 31 maggio 1987, Collezione dell’autore.
«Agosto a Recanati», 1987. Pannello composto di 12 piastrelle.
Lati cm 60 x 45. Terraglia dipinta in policromia.
Firmato e datato in basso a destra: Piero Ceccaroni 31 maggio 1987, Collezione dell’autore

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