Rendersi conto della sua «importanza particolare», informarsi per «non accontentarsi del sentito dire», ricordarsi che in questo caso «non c’è il quorum». Sono le «tre cose» sul referendum dette dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, rispondendo alle domande dei giornalisti nel corso della conferenza stampa di presentazione del comunicato finale del Consiglio episcopale permanente, conclusosi nei giorni scorsi a Roma.

«Vorrei ricordare che questo referendum, essendo sulla Costituzione – le parole del porporato – ha una valenza e un’importanza unica rispetto a qualunque altro referendum».

«Speriamo che i cittadini si rendano conto dell’importanza particolare, unica, di questo referendum – l’auspicio – che richiede quindi la partecipazione della sovranità popolare con il proprio diritto di voto, in modo particolare per l’oggetto del referendum». In secondo luogo, Bagnasco – riprendendo l’appello della sua prolusione d’apertura – auspica che «le persone si informino personalmente, non si accontentino del sentito dire, di un’opinione o di uno slogan, se ne sentono tanti». Il referendum del 4 dicembre, per la Cei, «è troppo importante: attiene all’impianto della Repubblica, dello Stato, non è una cosa che si cambia tutti i giorni facilmente». «Il quorum qui non esiste», ricorda infine il cardinale: «Chi va, va, e quello è deciso: fa una bella differenza». Quanto ad eventuali iniziative specifiche di informazione da parte della comunità ecclesiale, Bagnasco risponde che «non se ne è parlato al Consiglio permanente, ma non si esclude che ce ne possano essere nelle singole diocesi».

C’è una indicazione di «neutralità» sul referendum anche per i media cattolici? «La ‘mens’ dei vescovi – dice a proposito di questa domanda – è quella di invitare all’informazione personale: i media che afferiscono alla Cei continueranno ad avere questa posizione».
Interpellato in merito ad eventuali preoccupazioni circa gli esiti del referendum, Bagnasco ha ribadito che «la prima preoccupazione dei vescovi è che si possa votare con cognizione di causa, cosa che attiene alla coscienza e all’intelligenza di ciascuno, è un esercizio di libertà che richiede responsabilità, che significa sapere le cose il meglio possibile. Il resto è sul piano più strettamente politico: si vedrà, in un modo o nell’altro, quello che sarà meglio sulla strada per il bene comune».

Altro tema scottante, additato ancora una volta ai responsabili della cosa pubblica, il lavoro.

«La flessibilità – si chiede Bagnasco – è in grado di consentire un progetto di vita? Di non creare un senso di smarrimento, di incertezza nella vita delle persone?». Sulla scorta della sua prolusione, Bagnasco punta il dito sulla «frammentazione in atto ovunque» in materia di lavoro: «La categoria di flessibilità è nuova rispetto ad altri momenti storici, in questo ambito. Io non contesto il concetto di flessibilità, forse anche necessaria o comunque utile nel lavoro, però mi chiedo se permette un progetto di vita e permette che la persona non entri in stato di confusione». «Mi chiedo, inoltre – incalza il presidente – se chi sbandiera o propugna questa categoria viva nell’incertezza o sia ampiamente sicuro del proprio lavoro e del proprio patrimonio».

«La situazione del lavoro, e della disoccupazione, è molto grave», tuona Bagnasco: «Continua nelle nostre diocesi la processione di gente che ha perso il lavoro o che non lo trova, di tutte le età. Le persone adulte non riescono a mantenere le loro famiglie e ad onorare gli impegni, come il mutuo della casa, e i giovani non trovano un impiego che permetta loro di farsi un progetto di vita o non riescono ad entrare nel circuito del lavoro». La Chiesa italiana, «oltre alla vicinanza alla gente per non mangiare il pane della resa cerca di trovare vie, possibilità, cerca di proporre percorsi: in tutte le diocesi l’attenzione è viva e diversificata. Non c’è solo il Progetto Policoro, ma tanta fantasia: la coltivazione di vecchi e abbandonati terreni, le cooperative di diversa natura…». Tutto ciò, per «trovare soluzioni alternative, sapendo che non è compito della Chiesa trovare lavoro, ma dello Stato e della società imprenditoriale». Tuttavia, «nell’orizzonte della sussidiarietà e della vicinanza alla gente, la Chiesa cerca di non tirarsi indietro», garantisce il presidente della Cei.

«Nella mia diocesi fino adesso ho esaminato tre richieste di nullità matrimoniale, e altre sono in arrivo», svela l’arcivescovo di Genova raccontando «l’esperienza decisamente nuova» del «processo breve» che il Motu Proprio del Papa affida al vescovo diocesano per le cause di nullità matrimoniale: «In tutte e tre – prosegue – mi sono pronunciato a favore della nullità, con motivazioni diversificate». In dirittura d’arrivo, annuncia, un sussidio sui «diversi tasselli del mosaico della formazione permanente» del clero, che sarà pronto in primavera. A gennaio, infine, cioè entro il prossimo Consiglio permanente, arriverà il «quadro completo» delle proposte, delle riflessioni, del discernimento dei vescovi sull’opera di riordino delle 225 diocesi italiane, chieste dal Papa già all’indomani della sua elezioni, e la parola passerà alla Congregazione dei Vescovi.

Per favorire la «fraternità sacerdotale», Bagnasco propone di istituire «in ogni vicariato una mensa comune per i sacerdoti», ma anche altre «forme micro» per vivere insieme anche se non sotto lo stesso tetto: vacanze, ritiri, gite, «basta incontrarsi e il cuore si apre, le collaborazioni pastorali vengono dopo»: infine, il tema dell’Europa, architrave della sua prolusione d’apertura: «Avrebbe bisogno di una rifondazione culturale», ribadisce il cardinale, perché «laddove il cristianesimo si offusca, si offusca l’umano».

«Bisogna spogliarsi di quell’abito giacobino vecchio, terribilmente vecchio, ma che condiziona il cammino dei popoli».

M. Michela Nicolais

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