«Soffre assai, ma il maggior dolore non è il patire, è il vedere davanti ai suoi occhi schierati tutti i peccati, che in questo tempo si commettono». Fu una spiritualità fondata sulla Passione di Cristo quella di Giuditta Montecchiari (“la Santa de Montecchià”, come veniva chiamata dai suoi contemporranei), nata il 21 dicembre 1855 a Treia, in una casa colonica al confine tra il territorio dell’Abazia di Santa Maria in Selva e della “Villa di Macerata” (l’odierna Villa Potenza), e morta il 28 settembre 1916, mentre “infuriava” l’orrore della Prima Guerra mondiale. Una fede riconosciuta dal popolo, tanto che, riportano alcuni documenti dell’epoca, «al passare del corteo funebre la gente diceva: “È morta la Santa”».

Il prof. Alberto Meriggi
Il prof. Alberto Meriggi

A cento anni dalla sua salita al cielo, l’attualità di questo “esempio straordinario di una vita votata alla santità” (come sottolineò nel 2013 il Vescovo emerito di Macerata, mons. Claudio Giuliodori) si deve al professor Alberto Meriggi. Un profondo legame familiare ma non solo ha spinto lo storico, già docente universitario e attuale presidente del Centro di Studi storici maceratesi (leggi qui l’articolo sull’evento dedicato alla memoria di Dante Cecchi), alla pubblicazione del volume “Il campo dell’Amore” (Sugarco Edizioni) che ne ripercorre la vita e la dedizione totale “alla preghiera e alla sofferenza per la remissione dei peccati dell’umanità”. Pubblicato nel 2005, in occasione dei 150 dalla nascita, accompagnò anche le fasi dell’esumazione dei suoi resti e la tumulazione nella tomba-monumento dove tutt’ora riposa (il crocifisso in marmo è opera dell’artista Giuseppe Teobaldelli). Un compendio che ha origine dall’approfondita analisi di documenti allora inediti e conservati nell’Archivio della Curia di Treia.

La tomba-monumento a Treia
La tomba-monumento a Treia

«Il Signore le concesse dei privilegi particolari – scrive Meriggi -, per quindici anni osservò un perfetto digiuno senza toccare né cibo né acqua e patì sul suo corpo tutte le fasi della Passione di Gesù con estremo dolore e con manifestazioni visibili come le stimmate alle mani, ai piedi, al torace e alla fronte». La Passione era, infatti, una delle tre principali forme di devozione dell’Ottocento, insieme a quella dedicata al Sacro Cuore e a Maira Santissima. «Una devozione divulgata anche sotto la forma del Preziosissimo sangue – conferma mons. Luigi Conti nella prefazione al volume -, quale ulteriore approfondimento di quella Passione di Gesù e che, nel nostro ambiente, ebbe impulso da san Gaspare del Bufalo, san Vincenzo Maria Strambi, come altrove da santa Maddalena di Canossa». img_20161002_115151Tutti concentrarono la loro fede attorno al Calvario dela Croce di Cristo, l’emblema di tutte le croci.

Dalla festa dell’Immacolata del 1873, Giuditta Montecchiari iniziò a rifiutare il cibo fino a una condizione di digiuno totale. Dal 1874 fino alla morte, inoltre, ogni venerdì e spesso anche il martedì Giuditta entrava in estasi, parlando con Cristo, la Madonna e i Santi: «Il sangue fuoriuscito dalle stimmate venne raccolto in bende oggi conservate in gran numero presso la Vicaria di Treia», riporta ancora il prof. Meriggi, tant’è che «sono molte le testimonianze che riferiscono di scampati pericoli e di inspiegabili guarigioni avvenute per sua intercessione».

libro-copertinaL’opera deve il suo titolo a una relazione di don Milone Meloni risalente al 7 marzo 1879 (riportata integralmente all’interno dell’opera di Meriggi), canonico treiese chiamato a testimoniare in sede penale sulle accuse rivolte alla “Santa” di ingannare la gente, di far lucro e speculare sulle “vicende” (le stimmate): «L’estasi era compiuta ed ella, benedetta di nuovo, entrò in un tranquillo riposo che lei è solita chiamare “Il campo dell’Amore”».

L’incresciosa vicenda si concluse dopo che la Procura di Macerata accertò la piena innocenza della Montecchiari e dei suoi familiari. Dopo la sua morte, venne avviato un processo informativo di beatificazione che si interruppe però “per motivi estranei alla sua santità”. «Dopo qualche mese (dalla nuova tumulazione, ndr.) – conclude l’autore -, la famiglia Montecchiari ha fatto installare ai piedi della tomba un contenitore in marmo per raccogliere richieste indirizzate all’estatica». Ancora oggi sono molti i messaggi consegnati e poi conservati presso l’Archivio della Curia di Treia, segno di una devozione popolare ancora presente verso la “sposa della Croce”.

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