Si parla di industrializzazione del gioco d’azzardo in crescita in maniera spaventosa nel nostro paese. Tra i giocatori più incalliti in prima fila vi sono coloro che hanno perso il lavoro, chi fatica ad arrivare a fine mese con lo stipendio, chi non ce la fa con la sola pensione. Questi sono i soggetti più vulnerabili, meno culturalmente preparati, meno istruiti.

È la categoria dei nuovi poveri, che va ad aumentare la catena delle dipendenze. I danni da gioco d’azzardo si riversano, negli anni, sui figli dei giocatori, gli anelli più deboli di questa catena, perché subiscono trascuratezze e poche attenzioni da parte dei genitori.

Il tema dell’azzardo è stato trattato nel laboratorio “Povertà, finanza e azzardo” svoltosi recentemente a LoppianoLab: se ne è parlato come malattia e non come gioco: ciò che procura dipendenza, infatti, non può essere codificato come gioco. E la partecipazione al dibattito è stata altissima. Ad animare l’incontro Luigino Bruni, docente di economia politica, Daniela Capitanucci, socio fondatore Associazione AND-Azzardo e Nuove Dipendenze; Gabriele Mandolesi, Movimento Slotmob e Pietro Pace, dell’associazione Senzaslot.

I relatori hanno riportato dati e statistiche, raccontato il lavoro fatto in questi anni attraverso una sensibilizzazione che ha toccato le principali città d’Italia. Gli slotmob hanno creato una forte sensibilità, ma non basta, non è sufficiente. Crea opinione entrare in un bar per prendere un caffè e, se vi sono le slot machine, uscire per cercare un altro bar senza slot, dopo averlo detto al barista.

L’Italia è tra i maggiori Paesi detentori di macchine da gioco. Di gratta e vinci. Di “mangiasoldi”. Occorre, si rimarca, ristatalizzare il gioco, togliendolo di mano ai privati. L’azzardo è una malattia dell’economia perché nega il mercato. Parole forti, severe, che l’uditorio fa proprie. Chi interviene pone domande e fa proposte concrete, come sostituire le slot col biliardino e i tavoli da pingpong: «Già – risponde qualcuno –, ma chi gestisce le macchinette gestisce anche i biliardini e i tavoli da pingpong. Non è facile avere giochi sostitutivi.

«Mettiamoci d’accordo, autotassiamoci e compriamoli noi – è la proposta di un signore indignato –. Continuiamo a premiare quei bar che hanno deciso di rinunciare alle slot, mettiamo una targa all’ingresso del locale con la scritta “locale no slot”». Rinunciare a queste macchinette mangiasoldi vuol dire, per il proprietario del locale, rinunciare a un buon incasso mensile assicurato. La spesa che lo stato deve sostenere per il recupero delle vittime da ludopatie è notevoli. Come prevenire allora questo cancro che rovina la popolazione, che schiavizza uomini e donne di qualsiasi età?

La serata si conclude con una sventagliata di proposte semplici, ma fondamentali. Cominciando dal sensibilizzare la popolazione sul danno che l’azzardo provoca. Nei corridoi si commenta che sono state due ore ben spese, di notevole attualità e interesse. Di sicuro la tenacia e la costanza per dire no a questa malattia non deve trovare pause. Solo con la costanza si può sperare di diffondere una cultura nuova, contro lo spreco e il danno che questo comporta.

(da C.N. online)

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