«Alla ricerca di una verità che, come intenti a fissare una luce intensa, non può essere compresa fino in fondo, se non come insieme di fatti indefiniti che, insieme, possano rappresentarla». Le parole di Massimo Raffaeli descrivono quella che per il critico è la vera poetica di Leonardo Sciascia. Un impegno civile ribadito nell’accogliere l’invito di Luigi Carassai (presidente dell’Associazione Amici di Leonardo Sciascia, leggi qui l’intervista), in occasione della presentazione del libro “Fine del Carabiniere a cavallo” (Adelphi) curato da Paolo Squillacioti. Evento promosso ieri, 6 ottobre, presso la Biblioteca Statale di Macerata.

Luigi Carassai
Il presidente dell’Associazione Amici di Leonardo Sciascia, Luigi Carassai

«Nell’opera di Sciascia vi sono molteplici pretesti per innescare nel lettore una reazione a catena – ha introdotto Carassai -, dapprima, la curiosità, poi, l’esigenza di una riflessione più ampia e articolata sugli argomenti trattati: dal ruolo degli intellettuali alle finalità e al ruolo stesso della letteratura». “Fine del Carabiniere a cavallo” si rivela, dunque, un esempio in cui ritrovare «le capacità di indagare, di rompere gli schemi, di mettere in discussione e, al contempo, di non fermarsi alla semplice analisi di Sciascia – ha aggiunto –, mettendo a disposizione dei lettori uno strumento per analizzare e decifrare la realtà: la funzione più alta per un intellettuale».

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Il critico letterario Massimo Raffaeli

Una capacità che, per Raffaeli, è per sua natura contro il potere, inteso come “ordine costituito”, rappresentato appunto dal “Carabiniere a cavallo”. «La saggistica non è un’altra specialità di Sciascia», ha precisato il critico evidenziando come questa sia un tratto costitutivo del grande romanzo secolare italiano. In tal senso, «uno dei punti più alti raggiunti dalla nostra letteratura è forse “L’affaire Moro” (1978) – ha aggiunto -, quando Sciascia coglie la dinamica tra verità e potere e la obiettiva nella figura di Aldo Moro attraverso un paradosso: Moro diventa per lo scrittore uno statista quando non finge più di esserlo – ha concluso Raffaeli -, quando è un prigioniero inerme, quando scrive delle lettere considerate non sue anche dai grandi giornali dell’epoca. Sciascia cita, in particolare, una lettera di diffida ai maggiorenti della Democrazia Cristiana, contrari a ogni ipotesi di trattativa, in cui si legge, riferendosi alle esequie: io non desidero intorno a me gli uomini del potere».

Il curatore del libro Paolo Squillacioti
Il curatore del libro Paolo Squillacioti

Purtroppo, per Sciascia, ciò non si verificherà al suo stesso funerale. «Fu pieno di “uomini del potere” – ha confermato Squillacioti -, i quali misero in grande difficoltà il paese di Racalmuto, impedendo a molti amici veri dello scrittore di entrare nella chiesa». Un paradosso, come i tanti che figurano nelle opere dell’autore siciliano, tra le quali il curatore ha dovuto necessariamente procedere, racchiudendo il libro tra gli anni 1956 (l’esordio) e il 1989 (la morte). «Mille e quattrocento sono il numero dei saggi “dispersi” di Sciascia – ha dichiarato -, ovvero che non raccolse mai in vita. L’intento non era di pubblicarli tutti, come fatto ad esempio per Pasolini, ma di compiere una selezione con dei criteri ben precisi».

“Fine del Carabiniere a cavallo” contiene, dunque, oltre a quanto stabilito dal carattere cronologico del volume, quarantatrè produzioni letterarie ad esempio non legati all’attualità, alla Sicilia, con elementi di novità e alcune eccezioni, la prima proprio nel titolo, dato che il lavoro risale al 1955. «Si tratta di una scelta volutamente strana, così come per l’immagine in copertina, ma che rappresenta un profilo profondamente “scisciano” – ha sottolineato Squillacioti -, il Carabiniere a cavallo rappresenta uno spartiacque nel momento in cui la letteratura italiana rinuncia all’esaltazione del cavaliere e iniziava una nuova era, quella rappresentata dal dialogo tra poliziotti di Vittorini». Tra le eccezioni si annotano anche saggi che parlano di politica, di storia, di cultura, argomenti che, comunque, Sciascia legge con gli occhi del letterato. «È davvero un peccato ed è riduttivo, data anche l’operosità dello scrittore – ha concluso lo stesso Squillacioti, auspicando una futura e più ampia pubblicazione –, che vi siano contenuti soltanto questi testi».

La sala gremita della Biblioteca Statale di Macerata
La sala gremita della Biblioteca Statale di Macerata

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