Giammario Borri*

Il Natale è ormai alle porte e noi dell’area dei Sibillini non ce ne siamo neanche accorti, tutti presi giorno e notte dagli eventi tellurici. Non ce ne siamo accorti perché la nostra vita da qualche mese è cambiata ed è cambiata molto; anche il nostro animo non è più lo stesso e la festa più importante dell’anno sembra aver perso l’attrazione e il richiamo consueti. In realtà, riflettendo e facendo un paragone con le vicende dei protagonisti del Natale di 2016 anni fa, scopriamo analogie tali da definire, il prossimo, un Natale autentico; il che ci permette di viverlo in modo più personale e profondo.

«Il Natale è alle porte e noi dell’area dei Sibillini non ce ne siamo neanche accorti»

A molti di noi è crollata la casa e anche Giuseppe e Maria erano privi della loro; numerosi di noi non ne abbiamo trovato un’altra ma ci siamo accampati in campers o garagi, come i genitori di Gesù non hanno trovato posto negli alberghi. Non riusciamo a spiegarci gli eventi sismici e la casa che ci cade addosso, così Giuseppe non comprendeva il compito cui era stato chiamato e la stessa Maria meditava in cuor suo come il tutto potesse avvenire. I pastori quella notte vanno a vedere ciò che era avvenuto nella grotta, così tanti, tantissimi sono venuti a vedere le nostre ferite e le macerie delle nostre case. Come alla sacra famiglia arrivano i Magi a portare doni, anche a noi da ogni parte è scaturita spontanea la sensibilità e aiuti di ogni genere. I Magi hanno seguito la stella, ma la stella…. noi non la vediamo; è la stella che è assente per un adeguato raffronto.

«A molti di noi è crollata la casa e anche Giuseppe e Maria erano privi della loro»

La mia riflessione vuole andare oltre, vuole ripercorrere la strada fatta, per vedere ciò che non è stato visto e rivedere le cose da un’altra angolatura perché in ogni fatto o azione o evento bisogna essere lungimiranti e sapere trovare in noi stessi la capacità di andare oltre l’evento stesso. Perché la stella c’è per tutti, anche per noi; occorre solo trovarla. Noi, gente dei Sibillini, non siamo gente qualsiasi; deriviamo da una civiltà antica di cui ci siamo in parte dimenticati e il giornalista Ugo Bellesi di recente ha ricordato le “comunanze agrarie”, vere e proprie “comunanze umane” in cui predominava una sostanziale proprietà collettiva. I prodotti dei tagli dei boschi e della falciatura si dividevano tra tutti. Ogni famiglia aveva un uso esclusivo, ma temporaneo, solo di qualche appezzamento coltivabile. Una regola fondamentale era che il godimento della comune proprietà fosse subordinato al lavoro proprio e in proporzione ai bisogni della famiglia.

«Eppure c’è una stella cometa per tutti, anche per noi; occorre solo trovarla»

Il popolo dei Sibillini come popolo libero, con una scelta di vita a misura d’uomo, in una armoniosa convivenza civile, in cui nessuno diventava ricco ma nessuno diventava povero e nessuno moriva di fame perché ci si aiutava l’un l’altro e il benessere cresceva lentamente senza che nessuno rimanesse indietro. Non era l’età dell’oro ma solo un modo diverso di vivere, in cui la sofferenza e la povertà rendono fratelli. Ora bisogna fare i conti con questo terremoto. Il terremoto fa crollare ogni nostra certezza. La casa che non ci protegge più, anzi ci uccide; la casa che trema ci getta nel panico, la perdita del nido ci getta in mezzo alla strada. La perdita del luogo dove poterci rifugiare nel momento del pericolo ci fa sentire nudi, in balia di ogni possibile minaccia. Non possiamo più andare da nessuna parte per trovare rifugio e conforto. L’aiuto migliore che possiamo offrire è la nostra vicinanza. Il tempo che sappiamo condividere. Il silenzio, che è capacità di ascolto, con cui sappiamo essere vicini.

«Per affrontare il terremoto, l’aiuto migliore è offrire la nostra vicinanza, il nostro tempo e il silenzio come capacità di ascolto»

Quando il dolore invade la nostra anima, non abbiamo bisogno di sentire parole. Abbiamo bisogno di trovare qualcuno che sappia accogliere le nostre parole e i nostri pensieri. Senza invadere lo spazio del cuore, già pieno del nostro dolore. Senza giudicare. Senza che ci venga a dire che cosa dobbiamo fare. Quando stiamo male abbiamo bisogno anche di lamentarci, di piangere. Abbiamo bisogno di trovare qualcuno che sappia ascoltare il nostro dolore. Senza scappare. Senza chiuderci la bocca e soffocare le nostre parole con le sue. E’ il nostro dolore che ha bisogno di uscire, di trovare qualcuno che lo sappia condividere. Che gli riconosca il diritto di esistere, la dignità di un sentimento nobile e vero. La vicinanza degli amici, la sofferenza condivisa hanno un effetto catartico; permettono di liberarci dell’angoscia e di renderci conto che, pur nella sventura, ci è andata bene. Siamo riemersi vivi dalle macerie, pertanto siamo fortunati. Eccola dunque la nostra stella: la fortuna di essere salvi e pensare a quel piccolo meraviglioso bambino che nasce in una grotta e che – pur essendo Dio – sceglie le modalità più sofferenti e drammatiche per dare a noi la vita, può restituirci la carica giusta per riequilibrare le nostre menti, riacquistare il ruolo che abbiamo come padri, madri, educatori responsabili e coraggiosi e ritrovare nel dolore condiviso la forza di riemergere anche mentalmente e il coraggio di affrontare il presente per ricostruire il futuro.

«Siamo riemersi dalla macerie, siamo fortunati. Eccola dunque la nostra stella»

E’ necessario ripiegarci sulle ginocchia, rimboccarci le maniche, consapevoli che dobbiamo ricominciare da noi stessi e distribuire per primi un sorriso, una parola, una tenerezza, un abbraccio. Nonostante siamo diventati tremendamente poveri in soli due minuti, nonostante abbiamo perso una o più case, il nostro cuore non è povero, perché la casa non era tutto; era solo una parte, una piccola parte, anche se per essa ci siamo sacrificati tutta la vita. Il tutto, l’essenziale è altro: è quanto abbiamo insegnato ai nostri figli e ai nostri amici, è l’esempio che diamo con la nostra vita e i nostri comportamenti a quanti con noi condividono l’esperienza umana. E questa è la nostra stella, la nostra ricchezza, l’essenziale.

«Nonostante siamo diventati poveri, l’essenziale è altro: è quanto abbiamo insegnato ai nostri figli e ai nostri amici. E questa è la nostra stella»

Il nostro carisma che, nonostante l’apparenza, non è minimamente scalfito; sta ancora lì, nella nostra anima, la nostra perla. Basta togliere anche lì le macerie che la ricoprono e ritrovare la nostra identità, preoccupandoci più per gli altri che per noi: solo attraverso il dono di sé, anche in piccole cose come il silenzio, la vicinanza, la condivisione, una minestra calda, riacquisteremo fiducia, positività, ottimismo. Allora saremo di nuovo pronti per spiccare il volo e la vita tornerà a sorriderci. Perché la stella sta in noi stessi, la stella siamo ognuno di noi, santi, cioè amati da Dio. Dobbiamo solo crederci e sarà il Natale più autentico della nostra vita, un “vero” Natale.

*Docente di Paleografia presso l’Università degli Studi di Macerata

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