Diamo il via con questo contributo a una nuova rubrica curata da Marco Petracci, seminarista maceratese ancora ai primi anni di studio teologico nel Seminario regionale di Ancona, ma contiamo che con l’indispensabile aiuto dei suoi compagni e amici possa costituire per Emmaus un contatto prezioso con il mondo del Seminario Regionale e dell’Istituto Teologico Marchigiano.
Questa rubrica non sarà però una raccolta di saggi accademici: con l’aiuto di altri collaboratori tratterà di pastorale; guarderà e rifletterà sul cammino di testimonianza, di annuncio, di preghiera, di vita sacramentale, di carità che la nostra diocesi cerca di percorrere in sintonia con la Chiesa universale guidata da papa Francesco.

«Chiesa e Sinodo sono sinonimi» diceva san Giovanni Crisostomo, perché la Chiesa non è altro che il “camminare insieme” del popolo di Dio. Infatti la parola “sinodo” deriva dal greco: syn, insieme, e hodòs, strada, quindi “fare strada insieme”. Questo è un aspetto sul quale si è concentrato, fin dal suo insediamento il 27 luglio del 2014, il nostro vescovo Nazzareno Marconi, raccogliendo uno degli aspetti più importanti del magistero di papa Francesco, un concetto oggi parte integrante del rinnovamento ecclesiale e della conversione pastorale che il Papa chiede alla Chiesa. Lo stesso Pontefice, nel discorso del 10 novembre 2015 al Convegno Ecclesiale di Firenze, dava una sola indicazione pratica: «In ogni comunità, in ogni parrocchia, e in ogni istituzione, in ogni diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii Gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle 3 o 4 priorità che avrete individuato in questo convegno».

È importante anzitutto chiarire che questo rinnovamento non è solo di carattere organizzativo, ma c’è un passaggio da fare: quello dal binomio “individualismo + verticalità” a una pastorale che valorizzi la comunione sia della comunità ecclesiale sia del presbiterio. Insomma, non più prete e vescovo pensati come “l’uomo solo al comando”, al di sopra della comunità, ma in relazione con essa, nel modo di una “presidenza del discernimento” che sa guidare attraverso l’ascolto, l’accompagnamento e la collaborazione, come auspica anche la Lumen Gentium, che al n. 30 ricorda come «I sacri pastori (cioè i vescovi) infatti, sanno benissimo quanto i laici contribuiscano al bene di tutta la Chiesa. Sanno (…) che il loro ufficio consiste nel comprendere la loro missione di pastori nei confronti dei fedeli e nel riconoscere i ministeri e i carismi propri a questi, in maniera tale che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, al bene comune».

Ancora il Pontefice, nel 50° dell’istituzione del Sinodo dei vescovi (17 ottobre 2015) ricordava che «una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare è più che sentire. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo Spirito della verità, per conoscere ciò che Egli dice alle Chiese».

Ma come funziona, concretamente, questa sinodalità? Quali passi si potrebbero compiere per farla crescere? E nella nostra Diocesi, a quasi un anno e mezzo da quel discorso del Papa, qualcosa si è mosso?

Ne parleremo tra due settimane, riflettendo assieme a un laico della nostra Chiesa diocesana, che ha partecipato al Convegno di Firenze.

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