Armonia e radici cristiane: sono i presupposti per l’Europa, se vuole avere un futuro degno del suo passato. Nel suo discorso di mezz’ora – pronunciato nella Sala Regia e rivolto ai 27 capi di Stato e di governo dell’Unione europea, accompagnati dalle loro delegazioni, in occasione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma, Papa Francesco non ha fatto un viaggio di ricordi, ma ha indicato le risposte per il futuro nei quattro pilastri sui quali i padri fondatori hanno edificato il nostro continente: «La centralità dell’uomo, una solidarietà viva, l’apertura al mondo, il perseguimento della pace e dello sviluppo, l’apertura al futuro».

Da qui l’invito a chi governa a «discernere le strade della speranza – questo è il vostro compito: discernere le strade della speranza –, identificare i percorsi concreti per far sì che i passi significativi fin qui compiuti non abbiano a disperdersi, ma siano pegno di un cammino lungo e fruttuoso».

Due le citazioni-simbolo, mutuate dai suoi predecessori: san Giovanni Paolo II, sull’identità cristiana dell’Europa come fondamento dell’autentica laicità, e Paolo VI. «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace», ha ripetuto 50 anni dopo la Populorum progressio. L’Europa – la consegna finale ai leader europei – compie 60 anni, ma può essere ancora giovane, se saprà mettersi in discussione e lavorare per un «nuovo umanesimo europeo».

Ancora oggi, esordisce Francesco, l’anima dell’Europa rimane unita grazie ai valori che le derivano dalle sue radici cristiane: solo grazie al cristianesimo si possono costruire società autenticamente laiche, dove credenti e non credenti, residenti e stranieri possono trovare ugualmente posto. Negli ultimi sessant’anni il mondo è molto cambiato. Ieri c’era un conflitto devastante ma anche la volontà di costruire un futuro migliore evitando altri conflitti, il nostro è invece un tempo dominato dalla parola “crisi”: crisi economica, crisi della famiglia, crisi delle istituzioni e crisi dei migranti. Ma crisi, in positivo, è anche “discernimento”: così, le risposte del futuro vengono trovate nel passato, come sapevano bene i padri fondatori dell’Ue.

Oggi c’è uno scollamento fra i cittadini e le istituzioni europee: l’Europa ritrova speranza quando si riscopre famiglia di popoli, unità nelle differenze, armonia di una comunità, dove il tutto è in ognuna delle parti, e le parti sono ciascuna nel tutto.La solidarietà è l’antidoto più efficace ai populismi: se uno soffre, tutti soffrono, come tutti noi di fronte alle vittime di Londra. I populismi, invece, fioriscono dall’egoismo: «Occorre ricominciare a pensare in modo europeo, per scongiurare il pericolo opposto di una grigia uniformità, ovvero il trionfo dei particolarismi. Alla politica spetta tale leadership ideale, che eviti di far leva sulle emozioni per guadagnare consenso, ma piuttosto elabori, in uno spirito di solidarietà e sussidiarietà, politiche che facciano crescere tutta quanta l’Unione in uno sviluppo armonico, così chi riesce a correre più in fretta possa tendere la mano a chi va più piano e chi fa più fatica sia teso a raggiungere chi è in testa».

L’Europa ritrova speranza quando non si chiude nella paura di false sicurezze, ma promuove la cultura dell’incontro. C’è interesse nel mondo per il progetto europeo, ma bisogna chiedersi quale cultura propone l’Europa di oggi: «L’apertura al mondo implica la capacità di dialogo a tutti i livelli, a cominciare da quello fra gli Stati membri e fra le istituzioni e i cittadini, fino a quello con i numerosi immigrati che approdano sulle coste dell’Unione».

«Lo sviluppo è il nuovo nome della pace», ripete Francesco 50 anni dopo Paolo VI: «Non c’è vera pace quando ci sono persone emarginate o costrette a vivere nella miseria. Non c’è pace laddove manca lavoro o la prospettiva di un salario dignitoso. Non c’è pace nelle periferie delle nostre città, nelle quali dilagano droga e violenza. L’Europa ritrova speranza quando si apre al futuro. Quando si apre ai giovani, offrendo loro prospettive serie di educazione, reali possibilità di inserimento nel mondo del lavoro. Quando investe nella famiglia, che è la prima e fondamentale cellula della società. Quando rispetta la coscienza e gli ideali dei suoi cittadini. Quando garantisce la possibilità di fare figli, senza la paura di non poterli mantenere. Quando difende la vita in tutta la sua sacralità». Al termine del discorso, il Papa ha salutato uno ad uno i leader dell’Ue: poi la “photo opportunity” collettiva nella Cappella Sistina.

M. Michela Nicolais

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