Quando all’alba del 16 maggio 1160, lunedì della settimana di Pentecoste, Ubaldo, vescovo di Gubbio per 31 anni, ritornò alla casa del Padre, tutta la città, addolorata e incredula, si raccolse intorno al santo Pastore per impetrare grazie e protezione. Una marea incontenibile di fedeli, provenienti anche dalle città vicine, per ben quattro giorni vegliò la salma ed ognuno, a gara, cercava di avvicinarsi con la speranza di poter almeno sfiorare il feretro o toccare il santo corpo. Si registrarono molti eventi miracolosi e soprattutto, come annota il suo primo biografo Giordano canonico della Cattedrale di Città di Castello e confratello di Ubaldo: «Ogni odio viene messo subito da parte, le liti si compongono in concordia, tutti coloro che erano nemici fanno la pace».

Dopo la morte di Ubaldo «ogni odio viene messo subito da parte, tutti coloro che erano nemici fanno la pace»

E’ il santo della riconciliazione, della pace, della concordia, il santo Vescovo che in vita non esitò ad interporsi tra le due fazioni in lotta armata, i guelfi e i ghibellini, per la supremazia nel nascente Comune eugubino. Con uno stratagemma, cioè fingendosi morto tra le vittime dello scontro, fermò le armi dei contendenti impauriti per il timore di aver ucciso il loro vescovo. Anche dopo la tumulazione nella Cattedrale, vicino ai santi Mariano e Giacomo, il flusso continuò senza sosta e per un intero anno «i buoni cittadini presero l’abitudine di venire ogni giorno, con candele accese alla tomba di S. Ubaldo. Venivano in processione, cantando inni, uomini e donne. La città di Gubbio risuonava per le voci dei canti e risplendeva per lo splendore dei ceri accesi», come ci tramanda il vescovo Teobaldo, contemporaneo e amico del Santo, altro suo biografo e suo successore sulla cattedra eugubina.

Ogni anno dopo la sua morte la città di Gubbio «risuonava per le voci dei canti e risplendeva per lo splendore dei ceri accesi»

Solo nel 1194, due anni dopo la canonizzazione proclamata da papa Celestino III, il corpo incorrotto di S. Ubaldo dalla Cattedrale fu traslato sul Monte Ingino, il «colle eletto dal Beato Ubaldo» (Paradiso, XI, 44), dove oggi riposa nel Santuario a Lui dedicato. Nella bolla di canonizzazione del 5 marzo 1192 Celestino III scriveva «Fu pio e giusto mentre visse sulla terra, dopo la sua morte per i miracoli che Dio si è degnato di operare per i suoi meriti egli fu stimato santo dai popoli vicini e da quelli lontani».

Memorabile era stata la sua ultima Messa solenne celebrata il 31 marzo 1160, giorno di Pasqua. Debilitato dalla malattia, aveva voluto aderire all’ardente desiderio dei suoi concittadini di avere la sua benedizione, come Giacobbe aveva benedetto ciascuno dei suoi figli (Gen. 49, 28). Per questo si fece portare a braccia dal suo letto di sofferenza in Cattedrale, dove celebrò il pontificale della Resurrezione e pronunciò la sua accorata omelia, il canto del cigno. Sentendosi ormai alla fine, parlò del Paradiso, della vita eterna, del giudizio finale, quando gli eletti, che hanno sperato nel Signore, metteranno «le ali come aquile» (Is. 40, 31) e i cattivi appesantiti dalle loro colpe «saranno cacciati nelle tenebre» (Mt. 8, 12). Fu il suo testamento e nei giorni seguenti, fino alla morte, andò ripetendo, straziato dai tormenti: «Libera la mia anima dal carcere, perché io possa cantare il tuo nome» (Giordano, 20.9).

Memorabile fu l’ultima sua Messa celebrata il 31 marzo 1160, nel giorno di Pasqua

Nella memoria degli eugubini, addolorati per la sua morte, ma sicuri di avere un formidabile protettore in cielo, riaffiorarono i momenti più salienti della sua esistenza terrena: ragazzo orfano di padre e di madre affidato alle cure di uno zio, adolescente dedito agli studi, alla preghiera e alla penitenza, giovane determinato a seguire la chiamata di Dio, tanto da rinunciare al suo patrimonio e donarlo ai poveri, sacerdote zelante animato da spirito riformatore della vita del clero. Nel momento dello smarrimento per il catastrofico incendio del 1126 che distrusse Gubbio Lo videro protagonista instancabile e appassionato nella ricostruzione della città, pronto ad incoraggiare i suoi concittadini in un momento così drammatico.

Accolto come novello vescovo di Gubbio nel 1129, dopo che aveva rinunciato alla sede vescovile di Perugia, ripensarono ai suoi 31 anni di ministero pastorale esercitato con vivo amore, spirito di servizio e zelo apostolico, tra difficoltà, ingiurie ed ostacoli, soprattutto all’inizio del suo mandato, dovuti all’avversione di parenti e parte dei concittadini che non condividevano il suo modo di essere vescovo: rifuggiva privilegi, sfarzo, lusso e onori, praticava la penitenza ed evitava le comodità, viveva in povertà e la sua attenzione era particolarmente rivolta agli indigenti, agli ultimi, agli scartati, ai malati, alle vedove, agli orfani. Paziente, umile, sempre aperto al perdono, con la sua dolcezza riuscì a superare le avversità e a toccare il cuore anche degli avversari. Grande fu la lezione di misericordia a cui assistettero gli eugubini, il giorno in cui videro il proprio vescovo maltrattato e gettato in una buca piena di calce: subì in silenzio e poi accolse tra le sue braccia paterne e baciò il muratore, reo dell’affronto e meritevole di una punizione esemplare, accompagnando il gesto con le parole: «Figlio mio, ti perdoni Dio onnipotente» (Giordano, 11.4).

Sant’Ubaldo viveva in povertà e la sua attenzione era particolarmente rivolta agli indigenti, agli ultimi, agli scartati, ai malati, alle vedove, agli orfani

Dovette apparire un gigante e un eroe agli occhi dei suoi concittadini nel momento di pericolo per la città, quando assunse il ruolo di defensor civitatis, baluardo della città, umile e disarmato, portando Gubbio alla vittoria contro le 14 città coalizzate nel 1153 e soprattutto quando riuscì nel 1155 a fermare l’imperatore Federico Barbarossa deciso a radere al suolo la città. Tutto questo non poteva essere dimenticato dagli eugubini che alla sua morte accorsero in preghiera alla sua tomba, fonte prodigiosa di grazie, offrendo devotamente ceri e cantando: «Gloria!», «Lode!», «Alleluia!». E anche Passo di Treia la sera del prossimo 16 maggio onorerà con l’offerta dei ceri il Patrono S. Ubaldo, «forte soccorritore, spirito ardito, saggio e coraggioso» come significa il suo nome di origine sassone.

Bibliografia:
Giordano da Città di Castello (sec. XII), Vita Beati Ubaldi, edizione “Famiglie Ceraiole”, 1992.
A. M. Fanucci, S. Ubaldo, il suo vero volto, (La vita Beati Ubaldi del suo confratello Giordano riletta da Don Angelo M. Fanucci),  edizioni Università dei Muratori – Famiglie Ceraiole – Associazione Maggio Eugubino, Gubbio, 2007.
N. Del Re, S. Ubaldo, Enciclopedia dei Santi. Bibliotheca Sanctorum, Città Nuova, Roma 1998, pp. 732-735.

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