Padre Mosè (Mussie Zerai), sacerdote nato in Eritrea, ha incontrato un folto gruppo costituito da decine di migranti e operatori presso il Centro di ascolto e di prima accoglienza di via Zara, a Macerata, per raccogliere le loro istanze o difficoltà e raccontare la propria esperienza. L’occasione è scaturita dal viaggio che il sacerdote ha fatto nella nostra provincia per presentare il libro “Padre Mosè. Nel viaggio della disperazione il suo numero di telefono è l’ultima speranza”, pubblicato dalla casa editrice Giunti, che racconta la sua esperienza di emigrante. Il religioso attualmente svolge il suo servizio presso la missione cattolica di Olten ed è coordinatore delle le missioni cattoliche eritree in Svizzera.

Padre Mosè ha raccontato la sua storia personale dal suo approdo in Italia alla sua presenza in mezzo ai suoi connazionali. Per sopravvivere faceva il lavavetri, vendendo i giornali ai crocicchi di Roma come tanti altri suoi connazionali, finché, a 25 anni, ha dato una risposta a quella vocazione “presbiterale” che egli sentiva già “viva” fin dalla adolescenza, ma per questioni familiari, non aveva potuto dare inizio ad un percorso di formazione. Nel 2000, a 25 anni, in occasione dell’incontro mondiale dei giovani avvenuto nella Capitale, sceglie di prepararsi al sacerdozio. Cinque anni dopo, per il suo impegno in sostegno dei migranti viene candidato al premio Nobel per la Pace e viene definito l'”Angelo dei profughi”, ” migrante tra i migranti”, “il sacerdote a servizio degli ultimi”.

A 25 anni ha dato una risposta a quella vocazione presbiterale che egli sentita viva fin dall’adolescenza

Nel suo libro dichiara: “Da quando ho cominciato a occuparmi di migranti mi chiedo: perché succede tutto questo? La risposta è stata sempre la stessa: perché qualcuno -sul piano politico – non ha fatto il suo dovere. Se quei disperati avessero potuto raggiungere l’Europa per vie legali e sicure, senza essere costretti ad affidarsi ai mercanti di morte, non avrebbero terminato i loro giorni in fondo al mare”. Non mancano parole dure e considerazioni amare con le quali il sacerdote eritreo racconta la sua vita mescolandola al destino dell’esercito di migranti in fuga da guerra, fame e violenza. Il racconto è dettagliato, tuttavia, oltre alla biografia dell’autore che si fonde alla politica e alla cronaca degli ultimi anni, il libro ha un respiro più ampio che scuote le coscienze ed emoziona, che dovrebbe far riflettere non solo in occasione di particolari giornate dedicate alle emigrazioni ma ogni giorno dell’anno.

Nel libro non mancano parole dure e considerazioni amare con le quali padre Mosè racconta la sua vita mescolandola al destino dell’esercito di migranti in fuga da guerra, fame e violenza

Durante l’incontro, padre Mosè ha voluto ascoltare le domande dei presenti fatte in inglese tradotte puntualmente da Lina Caraceni. Le questioni quotidiane, da quelle amministrative, come i permessi di soggiorno, le problematiche legate all’assistenza sanitaria e altro sono state affrontate durante il lungo dialogo con gli ospiti. In conclusione, il sacerdote ha ricordato ai presenti che il suo numero di cellulare mettendosi a disposizione di migliaia di persone che lo potranno chiamare “24 ore su 24”. Molti profughi lo hanno addirittura inciso, per non smarrirlo, con un tatuaggio sul proprio corpo.

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