È ancora nelle sale “The Place”, l’ultimo film di Paolo Genovese che ha chiuso la 12ª Festa del Cinema di Roma e che dopo il successo di “Perfetti Sconosciuti”, porta sul grande schermo un film tanto intenso quanto strano. Il film è la trasposizione cinematografica della serie tv “The Booth at the End”, ai più sconosciuta ma disponibile su Netflix, con protagonista Xander Berkeley, John il Rosso in “The Mentalist” e ne riprende in modo pedissequo i dialoghi, l’ambientazione e le storie dei personaggi.

Come in “Perfetti Sconosciuti” siamo di fronte ad un film corale dove ritorna anche l’unità di luogo, non l’interno di un appartamento ma quello di un locale che porta lo stesso nome del titolo, “The Place”, che non aggiunge informazioni in più, nessuna caratteristica che faccia capire allo spettatore dove ci si trova. “The Place” è un luogo sospeso dove un uomo (Valerio Mastandrea), di cui non si sa niente, neanche il nome, riceve ad un tavolo una serie di persone che inizialmente non hanno nulla a che fare le une con le altre ma che sono pronte a fare del male per avere del bene.

Il cast è molto ricco e composto dai più noti e bravi attori italiani: dai più giovani Alessandro Borghi, Silvia D’Amico e Silvio Muccino a Marco Giallini, Alba Rohrwacher, Vittoria Puccini, Rocco Papaleo, Vinicio Marchioni, Sabrina Ferilli e Giulia Lazzarini.
“Mastandrea rappresenta quel qualcosa con cui facciamo i conti quando dobbiamo prendere una decisione cruciale: per qualcuno è Dio, per altri il Diavolo, o la propria coscienza, ognuno usa uno specchio diverso” afferma il regista Paolo Genovese. Non ha importanza chi sia veramente perché tutto ruota intorno alla domanda “cosa sei disposto a fare per ottenere ciò che vuoi?”.

L’unità di luogo qui ha forse reso più difficile il lavoro del regista, il montaggio non è sempre fluido per le dissolvenze al nero e la trasposizione sul grande schermo della web series rende più difficile l’identificazione. Si tratta di una pellicola a tratti ridondante ma allo stesso tempo coraggiosa, soprattutto dopo il successo di Perfetti Sconosciuti. Si regge solo sulla sceneggiatura, le parole evocative che dicono i personaggi mostrano ciò che la macchina da presa non inquadra, lo spettatore immagina grazie a quei “dettagli” tanto desiderati e annotati dall’Uomo.

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