di Gianni Borsa

«È necessario imparare a individuare le diverse anime di un territorio e farle convivere»: è una chiave di lettura che Antonio La Spina, docente di sociologia e public policy all’Università Luiss “Guido Carli” di Roma, suggerisce per una lettura di quanto accade in Italia, ma non solo. Realtà locali in ebollizione, tensioni sociali che esplodono, rivolte anti-immigrati, manifestazioni antifasciste, sollevazioni contro la costruzione di un’opera infrastrutturale (no Tav) oppure per la difesa della salute (caso Ilva di Taranto). In realtà, nell’Italia dei mille campanili, non sono mai mancate situazioni di questo genere, per quanto assai differenti l’una dall’altra.

Antonio La Spina

«In più, oggi, dobbiamo registrare – segnala La Spina – la potenza dei mezzi di informazione e più ancora dei social media, che a loro modo raccontano e spesso ingigantiscono i fatti». E non sempre la narrazione mediatica risponde alla realtà…
«Macerata è un’altra cosa». Il professor La Spina è autore di numerosi studi in materia di politiche pubbliche; ha approfondito la conoscenza dei fenomeni mafiosi e l’espansione delle organizzazioni criminali finalizzate all’estorsione, con focus specifici – tra gli altri – sui costi dell’illegalità e sui beni confiscati. L’analisi che propone di alcuni dati di cronaca recenti è prudente e tende ad andare “oltre la notizia”. «Ad esempio non vedo – afferma sollecitato dal Sir – una specificità di Macerata come città di destra o estremista, come è stata talora evocata in questi giorni. È una città in cui ho insegnato e vissuto per alcuni anni e la descriverei nel complesso come

un contesto urbano piuttosto tranquillo, vivibile e di grande apertura.

Certo quanto è accaduto [il riferimento va al caso di Luca Traini che, all’inizio di febbraio, ha percorso la città sparando contro immigrati di colore, ferendo diverse persone, ndr] è terribile. Ma, diciamocelo chiaramente, poteva succedere ovunque». Del resto episodi di cronaca nera, violenze, omicidi, rapine, spaccio sono fatti che segnano a vario modo tutta la penisola e da qualche tempo sono segnalati in diminuzione. Sarà comunque la magistratura a far luce su quanto accaduto a Macerata. «Nel frattempo dobbiamo stare attenti a non confondere i fatti con la costruzione mediatica che se ne sta facendo. L’immagine della città che talora emerge dai social media – cui manca il filtro redazionale e deontologico che dovrebbe caratterizzare i media tradizionali – è pericolosa, nel senso che non corrisponde al vissuto di quella comunità». Le fake news passano anche da Macerata e le problematiche di un territorio rischiano di essere ingigantite, magari per ragioni politiche o elettorali.

Il caso-Ostia. Su Ostia la lettura del professor La Spina sottolinea altri elementi. La testata di Roberto Spada al giornalista di Nemo ha fatto il giro d’Italia. «In questo caso un elemento territoriale viene alla luce e i procedimenti giudiziari in corso lo stanno dimostrando. Poteri criminali di stampo mafioso insistono sul territorio; gruppi sociali ben individuati hanno messo le mani su una parte della città.

Ciò non significa che l’intera comunità cittadina stia dalla parte della criminalità o che sia connivente. Semmai nel suo insieme ne è vittima, e in parte sta reagendo.

C’è un segmento di società che sta acquisendo consapevolezza di quanto accade e appare intenzionato a contrapporsi all’illegalità”. La Spina ricorda quante periferie urbane sono state in passato, o siano oggi, segnate da delinquenza o malessere sociale, anche in riferimento alla disoccupazione, alla povertà, alla presenza criminale. “Ci vuole consapevolezza per poi creare anticorpi e movimenti di reazione… Pensi – aggiunge La Spina, palermitano – che a lungo nella mia Sicilia si è negata l’esistenza stessa della mafia!».

Taranto e l’Ilva. Ancora diverso è quanto accaduto a Taranto, non è vero? «Certamente la presenza dell’Ilva ha portato lavoro all’intera realtà provinciale. Peraltro, non è affatto scontato che un grande stabilimento industriale debba avere sempre un forte impatto ambientale. Al di là degli aspetti su cui un procedimento giudiziario è in corso, una maggiore attenzione da parte di tutti avrebbe potuto far sì che gli effetti sulla salute e l’inquinamento prodotti dal complesso siderurgico fossero inferiori». Del resto chiudere l’azienda vorrebbe dire far mancare posti di lavoro, riducendo sul lastrico innumerevoli famiglie. Come accade in tante altre realtà produttive in Europa, «bisogna agire per la salvaguardia dell’occupazione, garantendo al contempo la salute dei lavoratori e la qualità della vita del territorio. Il che non è affatto impossibile».

Intanto in Catalogna… Se mettiamo il naso fuori dall’Italia le realtà locali in fermento – per le più diverse ragioni – non mancano: ci sono le Fiandre, la Scozia, la Catalogna… «È vero, anche qui occorre però distinguere – avverte il professor La Spina – perché ciascuna di queste regioni ha caratteri propri e si inserisce in contesti differenti. Citavamo la Catalogna. Ebbene, solo 7 o 8 anni fa il sentimento separatista non era così diffuso. E va detto che ancora oggi non riguarda tutti i catalani; gli abitanti della regione appaiono divisi.

Ciò che è accaduto negli ultimi anni, sul piano politico, tanto a Barcellona quanto a Madrid, ha portato ai fatti di oggi.

Si sono esasperate le lacerazioni, anziché ricucire i rapporti. Del resto noterei che il separatismo catalano è, come quello scozzese, di stampo europeista. Non è una chiusura in sé, ma una richiesta di autonomia entro il contesto europeo».

Dal Trentino alla Sicilia. Un elemento sul quale torna più volte il sociologo della Luiss è il “senso civico”. «È fuor di dubbio – afferma – che alcuni territori mostrano una maggior dotazione di senso civico di altri, ovvero una responsabilità verso il bene comune che guida gli atteggiamenti individuali e sociali». Qualche esempio? «Ogni territorio ha il suo profilo storico, la sua eredità culturale, diverse situazioni economiche… Bisogna saper distinguere. Comunque citerei l’esempio del Trentino Alto Adige. Oppure, a mille chilometri di distanza, il Ragusano, che segnala una presenza di senso civico superiore rispetto alle province circostanti». «Si è sottolineato – prosegue l’analisi – che un fattore storico positivo è stata la presenza dei comuni in età medioevale: pensiamo alla Toscana o alla Lombardia». Ma poi il quadro si fa complesso: basterebbe pensare alla penetrazione della criminalità organizzata in Lombardia e agli enti locali nei quali si è accertata la presenza mafiosa nel nord Italia.

Fede religiosa, valore aggiunto? La comunità religiosa presenta un valore aggiunto per la pace sociale e il benessere di un territorio? Il professor La Spina è generalmente d’accordo, ma osserva: «Una certa forma di religiosità – di stampo familistico, particolaristico, desiderosa del quieto vivere con i poteri forti – può semmai rappresentare un problema ulteriore. Eppure sappiamo quanto valore sociale,

quanto senso civico sanno formare nelle coscienze tantissime comunità religiose.

Quelle che trasmettono, insieme alla fede, i valori sociali, il rispetto delle regole, la prossimità e la solidarietà, l’impegno per il bene comune. In questo senso il cattolicesimo può diventare un valore aggiunto anche per il territorio». La Spina accenna poi agli studi dello statunitense Robert Putnam, fra cui, tradotto in italiano, “La tradizione civica nelle regioni italiane”, e il volume “American Grace. How Religion Divides and Unites us”. Le specificità e il “fermento” dei territori, in Italia e altrove, e la rilevanza della religione sulla scena pubblica si affermano come filoni di studio in crescita. Occorrerà tornarci.

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