Schema del cuore artificiale

Il prossimo 14 aprile compirà 71 anni e festeggerà i nuovi successi con il suo secondo cuore artificiale. Il maceratese Ennio Carassai è il primo in Italia, e forse il quarto uomo al mondo, ad aver subìto un reimpianto di cuore artificiale. Ora “monta” un nuovo modello l’HeartMate 3 di pompa che lo tiene in vita dopo che a distanza di quattro anni dal primo impianto, tre episodi trombotici lo hanno spronato a sottoporsi a questo intervento, molto rischioso, eseguito nelle sue Marche e durato una decina di ore.

Il 2 agosto 2017 gli è stato sostituito, presso dell’Ospedale regionale (grazie all’équipe di cardiochirurgia del direttore Marco Di Eusanio, di anestesia e rianimazione cardiochirurgia diretta da Christopher Munch, dalla cardiologia di Gian Piero Perna) il modello HeartMate 2 con la versione successiva. La prima versione del cuore artificiale gli era stata impiantata nel 2012 al Niguarda di Milano dove si è trattenuto per quasi un anno, quotidianamente seguìto dalla moglie Ivana Fermani e settimanalmente dai figli Andrea e Paolo i quali, a turno, lo andavano a trovare nei weekend. «All’inizio hanno provato a mettermi in lista per un trapianto – spiega Carassai – ma il cuore nuovo non arrivava, io stavo morendo e allora mi hanno messo un cuore artificiale».

È stato difficile decidere di mettere un nuovo impianto? «Questa volta, ad agosto scorso, abbiamo impiegato, mia moglie Ivana ed io quattro giorni a decidere cosa fare; abbiamo fatto un consulto familiare con i nostri figli e, così, è incominciata una nuova, difficile e delicatissima avventura». Tutto ha avuto inizio nel 2012 e si era partiti neanche troppo bene. «Una mattina come tante ero andato a fare un’escursione qui vicino con degli allievi per studiare i funghi nelle ville urbane, cosa che mi appassiona molto. Nel pomeriggio, ho accusato un malore e mi hanno portato al Pronto Soccorso di Macerata. Il triage infermieristico mi ha assegnato un codice giallo tanto che ho atteso quasi due ore in sala d’attesa prima che mi facessero entrare e poi, quando ero finalmente all’interno del Pronto Soccorso, si sono susseguiti tre arresti cardiaci».

«I medici tergiversavano – sottolinea la moglie Ivana – e chi aveva avuto un’intuizione forse l’avrebbe dovuta portare avanti con più enfasi perché mai come questi casi il tempo è vita». Che sintomi aveva? «Mi sentivo perdere le forze – descrive Carassai – non riuscivo a respirare, avevo un dolore al petto simile a una pugnalata e mi sembrava che tutto fosse troppo lento intorno a me».

Visto che la sua vita è legata alle batterie di questa pompa artificiale cosa accade se i parametri monitorati dal controller sballano o se c’è qualche guasto alla macchina? «La mia più grande preoccupazione è la perdita di tempo. Ho al massimo 9 ore per raggiungere l’ospedale dove sono in cura e prima, quando dovevo andare a Milano, era tutta una corsa contro il tempo».

Non è mai andato in eliambulanza data la gravità, l’urgenza e visto che il personale sanitario locale è a conoscenza di questa sua condizione? «No, il Pronto Soccorso non me l’ha mai concessa e non so proprio perché. Grazie a Dio ora sono seguìto da Ancona e il tragitto, quindi, è molto più breve». Dopo mesi di ricovero ad Ancona il 22 dicembre 2017 è tornato finalmente a casa e ora che le sue condizioni si sono stabilizzate è stata data notizia di questo successo.

È una persona avventurosa, innamorata da sempre della natura e della montagna. È stato presidente del WWF di Macerata, è stato nel direttivo del CAI, è stato capo scout nel gruppo di Macerata 2 e poi Macerata 3, per 15 anni ha gestito la base scout di San Lorenzo di Treia. È stato presidente di varie associazioni, ultima delle quali, l’Associazione Micologica Naturalistica Monti Sibillini. Scalatore, rocciatore, autore di libri naturalistici, studioso di micologia e, in particolare, di funghi di alta quota, Ennio Carassai ha lavorato come tecnico di centrale di Telecom Italia. La sua famiglia abita da sempre in un bell’appartamento al quarto piano, senza ascensore, e per un caso fortuito nel 2014 è riuscita a trasferirsi al piano rialzato dello stesso stabile. Questo significa che per i primi due anni non poteva salire le scale? Chi l’aiutava? «Quando dovevo uscire di casa – prosegue – mi hanno aiutato sempre i miei figli e i miei amici che mi facevano la “sedia del Papa” perché il mio cuore artificiale non mi permette di fare sforzi. Posso passeggiare in pianura ma la salita per me è diventata impossibile».

Ora continua ad andare nelle sue montagne? «Sì certamente, i miei amici e familiari mi accompagnano con le auto fin dove è possibile, mi tengono lo zaino, il cavalletto, la macchina fotografica e, insieme, passeggiamo, studiamo funghi e li fotografiamo. Non posso andare sopra i 1.500 metri ma quando sono lì mi sento molto bene».

A chi deve questo suo successo oltre al suo carattere, al suo stile di vita sempre salutare e alle équipe mediche? «Alla mia famiglia. Senza di loro non so se ce l’avrei fatta. Mi rendo conto si aver “sciupato” mia moglie con tutte queste emozioni ma ogni volta (ogni giorno) che la vedevo nelle mie varie e lunghissime permanenze negli ospedali sorgeva il mio sole».

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