I grandi cambiamenti che sono avvenuti tra la fine del 20° secolo e l’inizio di questo, hanno colto di sorpresa l’uomo contemporaneo. Tanti legami si sono dissolti con l’avvio della globalizzazione perché non abbiamo saputo affrontare questo passaggio, pensavamo con ottimismo ai nuovi orizzonti: Il mondo che sarebbe diventato tutto democrazia e mercato, allontanando le paure della guerra fredda e le frontiere ereditate della storia. L’ottimismo della globalizzazione ha lasciato il campo a tante paure che accompagnano l’uomo contemporaneo. Fenomeni grandiosi che turbano la serenità dell’individuo come le migrazioni che vengono speso rappresentate come invasione.

Come rispondere alle paure dell’uomo “globale”? Non ci si deve impegnare, dal mio punto di vista, a sentirsi parte di una tribù ma a ricostruire o rifare una comunità. Così tanti individui, guardando un leader o temendo/ odiando alcune figure minacciose, si sentono tribù/ popolo. Magari contro altri. Gli individui dell’Europa si riconoscono speso in uomini forti, in tribù che hanno nemici da combattere o da cui difendersi, ma che non sempre significano esperienze di legami non nuovi e significativi. Le nuovi tribù sono realtà di esseri soli. Certamente la tribù risponde a un vuoto di relazione. L’ideale di una comunità diventa oggi un sogno antiglobalista.

Questo desiderio richiede di uscire dal mondo? Una comunità non si crea inseguendo modelli del passato che oggi sono improponibili. Non si può fuggire dal mondo. In realtà la globalizzazione è difficile ma non impossibile cosi insicura come viene percepita o ci viene presentata. Esiste oggi la necessita di abitare il mondo in maniera comunitaria che è un sogno, un amore, un legame, un tessuto di reciprocità, un modello o invece un modo di vivere con gli altri. Solo attraverso esperienze comunitarie si può cogliere l’esperienza di un’umanità comune senza frontiere o capire meglio cosa centro io con un abitante lontano.

Questo è l’abitare il mondo globale non ammassati in tribù in cui l’individuo riprenda l’iniziativa, non come un consumatore di vita, ma come un costruttore: ci si muova in una tensione verso il noi attraverso l’incontro con l’altro e non con la chiusura. In conclusione a queste paure non si deve rispondere con un’identità che si qualifica contro qualcuno.

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