L’uso spinto di pc, internet e Lim (lavagne interattive multimediali) a scuola non potenzia le prestazioni degli alunni, «ma addirittura ne determinerebbe un calo negli apprendimenti», afferma Benedetto Vertecchi, noto pedagogista italiano, su «la Repubblica» (del 7 gennaio 2016). Si riapre così la questione tra coloro che ritengono, da una parte, l’uso di pc, internet, tablet… nelle aule scolastiche un toccasana contro gli scarsi risultati e, dall’altra, i docenti che continuano a credere nell’insegnamento “classico”, ad esempio, con tabelline, esercizi ortografici, analisi logica e poesie da imparare a memoria.

Vertecchi, docente di Pedagogia Sperimentale all’Università di Roma Tre, nel suo ultimo scritto: Alfabeto a rischio, sostiene che l’uso delle tecnologie determina «una caduta nella capacità di scrivere» non solo in senso meccanico, con grafie sempre più incomprensibili, con strane mescolanze di stili e caratteri nelle stesse parole: corsivo e stampatello, maiuscolo e minuscolo, abbreviazioni e sigle. Ma problemi anche nell’apprendimento stesso: «Una caduta che – insiste il professore – investe sia la capacità di tracciare i caratteri, sia quella di organizzarli correttamente in parole, da usare per organizzare il messaggio stesso».

Ocse: i quindicenni che mostrano le migliori performance in lettura e matematica sono quelli che utilizzano meno la tecnologia a scuola e in classe

In pratica «l’uso di mezzi digitali comporta l’attenuazione, e talvolta la perdita, della capacità di coordinare il pensiero con l’attività necessaria per tracciare i segni», spiega Vertecchi.

Studenti e social media: la realtà Usa
Studenti e social media: la realtà Usa

Gli alunni delle scuole elementari, inoltre, hanno sempre più difficoltà nell’ortografia: «L’intervento nella scrittura digitale di correttori automatici riduce la consapevolezza ortografica. Il ricorso ossessivo alla funzione “copia e incolla” – per di più – riduce la necessità di sviluppare una linea argomentativa».

Ma non è tutto. Per Vertecchi l’effetto più pericoloso è la caduta della memoria: «La tecnologia abitua gli alunni a pensare che c’è sempre una risposta all’esterno, e non nella loro testa».

D’altra parte, che l’uso spinto, fin dalla giovanissima età, di smartphone e console determinerebbe problemi nella scrittura e non solo è un’opinione anche di altri esperti, tra cui lo psichiatra tedesco Manfred Spitzer – già visiting professor a Harvard e attualmente direttore della Clinica psichiatrica e del Centro per le neuroscienze e l’apprendimento dell’Università di Ulm – che, in uno dei suoi saggi, Demenza digitale, ha messo in evidenza «i danni mentali che conseguono da un uso dissennato di strumenti tecnologici».

Pure l’Ocse ha recentemente ammesso che: «nonostante i notevoli investimenti in computer, connessioni internet e software per uso didattico, non ci sono prove solide che un maggior uso del computer tra gli studenti porti a punteggi migliori in matematica e lettura». E in uno degli ultimi studi rilasciati dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, viene messa in rilievo una realtà davvero preoccupante: i quindicenni che mostrano le migliori performance in lettura e matematica sono proprio quelli che utilizzano meno la tecnologia a scuola e in classe. «Per questo in alcune scuole svizzere e statunitensi – conclude il professor Vertecchi – l’uso delle tecnologia è inibito fino ad una certa età, o è fortemente limitato».

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