Alle persone in fuga da conflitti e violenze «è fondamentale offrire una risposta organizzata, coordinata e condivisa che può soddisfare le richieste di sicurezza, evitando il rischio di un’accoglienza disordinata e sprovveduta».

Non ha dubbi il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti. In un’intervista a L’Osservatore Romano, alla vigilia della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, Vegliò richiama il Messaggio del Papa e le parole rivolte al Corpo diplomatico: in particolare, l’invito a non avere paura e la necessità di un «processo di mutuo adattamento» tra migrante e contesto sociale che lo accoglie.

Il cardinale Vegliò
Il cardinale Vegliò

Su profughi e richiedenti asilo, il porporato osserva: «L’Europa non ha ancora concordato un sistema di accoglienza unitario capace di rispondere in modo sistematico» alla loro protezione. Ogni Paese «mette in atto i propri standard e, per questioni di politica interna, alcuni reagiscono come se si trattasse di una questione di ordine pubblico e non umanitaria. In questo modo, i principi di solidarietà e di umanità non vengono sempre rispettati. Sono ancora presenti muri e respingimenti; sono ancora attuali le immagini di tante persone richiedenti protezione internazionale umiliate e recluse dietro le sbarre con trattamenti inadeguati alle loro condizioni». Tra loro, anche minori.

Il cardinale, dunque, invita al realismo dei numeri: con 500 milioni di europei e un milione di arrivi di rifugiati nel 2015 il rapporto è di 1 a 500. «Il primo soggetto responsabile dell’accoglienza, e massimo garante della protezione dei migranti – chiarisce -, è lo Stato, assieme alle istituzioni internazionali. La Chiesa, pertanto, non sostituisce lo Stato, ma desidera essergli di sostegno nell’accoglienza e nell’accompagnamento dei migranti attraverso un’azione realizzata in dialogo con le amministrazioni locali, nel rispetto delle leggi e delle normative vigenti così come della propria natura ecclesiale».

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Credo, conclude, «che stabilire un’interazione permanente con le autorità civili a diversi livelli sia necessario per assicurare uno scambio continuo di informazioni e assistenza e darebbe l’opportunità di promuovere azioni coordinate ed efficaci nel tempo».

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