Se fosse possibile raccontarla a puntate, di certo la storia di Federico Alessandrini, nato il 5 agosto 1905 a Recanati (dove mantenne residenza fino al 1919, prima del trasferimento della famiglia a Roma), costituirebbe un “capitolo” non indifferente nella storia culturale e religiosa della nostra Italia.

Federico Alessandrini
Federico Alessandrini

Il nome di quello che si rivelò, fin da giovane, un promettente cattolico con la vocazione al giornalismo (dopo aver completato gli studi classici e aver tentato la facoltà di Medicina), figlio di Raffaele, pittore e restauratore, allievo di Luigi Fontana, e di Maria Patrignani, è principalmente legato a L’Osservatore Romano, il giornale della Città del Vaticano fondato nel 1861, e alla Sala Stampa Vaticana. Primo portavoce ufficiale laico della Santa Sede, il recanatese, laureatosi poi in Lettere, nell’autunno del 1924 si distinse anche per l’impegno nella Fuci (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) del quale era assistente da un anno don Giovanni Battista Montini, il futuro papa Paolo VI.

Domani, venerdì 29 gennaio, alle ore 17.30 presso l’Aula Magna del Comune di Recanati, alla figura di questo poliedrico personaggio verrà dedicato un incontro, con la presentazione del libro «Federico Alessandrini. Santa Sede tra nazismo e crisi spagnola (1933-1938)». Non casualmente, l’evento è stato pensato proprio nella settimana in cui si celebra una data del tutto significativa: la Giornata della Memoria, onorata ieri, 27 gennaio, con varie iniziative culturali promosse nell’intero territorio provinciale.

Il frontespizio del testo che verrà presentato a Recanati
Il frontespizio del testo che verrà presentato a Recanati

Il testo, presentato per la prima volta l’11 settembre scorso presso la sede della Radio Vaticana, è stato curato dal figlio dello storico portavoce, don Giorgio Alessandrini, che, con la moderazione da parte del giornalista Rai Vincenzo Varagona, illustrerà l’opera alla presenza del sindaco di Recanati, Francesco Fiordomo, dell’assessore comunale alle Culture, Rita Soccio: porterà i suoi saluti anche il Vescovo diocesano, mons. Nazzareno Marconi.

Dopo l’introduzione di Alessandrini, a tenere la relazione sarà Renato Moro, nipote dello statista Aldo e ordinario di Storia contemporanea all’Università di Roma Tre.
Don Giorgio, parroco per più di trent’anni a Roma, alla Balduina, nella comunità di San Fulgenzio dove tutt’ora presta servizio, nel suo lavoro ha pubblicato i documenti del diario di suo padre Federico. Il libro, infatti, raccoglie gli articoli scritti da un giovane Alessandrini, che sarebbe diventato, dal 1946 al 1950, direttore dell’organo dell’Azione cattolica italiana, «Il Quotidiano». Nel 1961 sarà poi vice-direttore de «L’Osservatore Romano» e, dal 1970 al 1976, direttore della Sala stampa vaticana.

La Sala Stampa vaticana, oggi diretta da padre Federico Lombardi
La Sala Stampa vaticana, oggi diretta da padre Federico Lombardi

Negli anni della guerra e dell’immediato Dopoguerra, di Alessandrini si evidenzia, in particolare, l’interesse per il ruolo che i cattolici avrebbero assunto nel nuovo quadro politico nazionale, dopo la caduta dei Fascismo. Si manifesta, poi, la sua preoccupazione anticomunista, soprattutto in polemica con il movimento dei cattolici comunisti, trasformatosi, nel 1944, in partito della sinistra cristiana: su «Studium», Federico Alessandrini pubblicò, tra il 1943 e il 1944, tre articoli sull’argomento, poi raccolti in un opuscolo dal titolo «I cattolici e il comunismo (Roma 1945)».

Nell’introduzione del volume, Moro sottolinea come, dall’autunno del 1933 a quello del 1938, un cronista di ventotto anni dedicò una corposa serie di articolipiù di 350 – alla vita internazionale, analizzando realtà diversissime. Attraverso uno sguardo attento e limpido dei fatti, il prezioso memoriale ci consegna dunque lo spaccato storico di uno dei periodi più drammatici, dall’affermarsi del totalitarismo nazista fino alla vigilia della Seconda Guerra mondiale.

Un primo piano del nipote di Aldo Moro
Un primo piano del nipote di Aldo Moro

Allievo di Renzo De Felice, Renato Moro ha insegnato anche presso il Corso di laurea in Scienze Politiche dell’Università di Camerino, dove dal 1993 al 1995 è stato Direttore dell’Istituto di Studi Storico-Giuridici, Filosofici e Politici. Oltre ad altri prestigiosi incarichi (è membro dell’Advisory Board del Centre for Peace History dell’History Department dell’Università di Sheffield), è stato anche responsabile nazionale di programmi di ricerca del Miur: i suoi interessi di ricerca riguardano principalmente il tema del rapporto tra ideologie politiche e società di massa, con particolare attenzione all’intreccio tra processo di modernizzazione, fenomeni politici e dimensione religiosa.

Al ricordo di Aldo Moro, il nipote ha pubblicato diversi saggi e studi ed è uno dei parrocchiani e amici di don Giorgio Alessandrini, il quale, anticipando qualche passaggio del libro, racconta la figura di suo padre ai lettori di Emmausonline.

Don Giorgio, chi era Federico Alessandrini?
Le notizie strettamente biografiche, tra cui la menzione dei suoi genitori, il “cursus” degli studi e quello professionale, sono ben segnalate nel volume che accoglie i documenti della sua attività pubblicistica degli anni Trenta. Quel che conta di più, tuttavia, sono i tratti umani e spirituali della persona quali risultano dal suo modo di porsi nel corso dell’intera sua vita. La sua morte, avvenuta a Roma, risale al 2 maggio 1983, nella notte tra la domenica e il lunedì. Due giorni prima, al mattino, verso le dieci, ero andato a casa per celebrare il sacramento dell’unzione degli infermi. Come ben mi aspettavo, accolse la proposta con pensosa gravità, ma mi pregò di aspettare e mi ingiunse di sedere davanti alla sua macchina da scrivere. Si era fatto leggere i giornali da mia sorella Cecilia e mi dettò d’un fiato il pezzo per la rubrica di cui era titolare su «L’Osservatore della domenica» relativa alla settimana politica in Italia. Esaurito il mio compito, seguì la celebrazione. L’articolo comparve regolarmente su «L’Osservatore» il giorno dopo le esequie. A noi figli aveva sempre insegnato che la prima forma di rispetto per il prossimo era quella di mantenere la parola data: lo stesso criterio aveva adottato per sé anche riguardo ai suoi impegni professionali. Si trattava, per lui, di assolvere al compito dell’informazione con la maggiore fedeltà e lucidità che gli fosse possibile circa i fatti accaduti o previsti cercando di darne onesta valutazione. Nell’attenersi a questo criterio, mio padre sapeva di rendere un servizio alla gente e alla Chiesa come luogo in cui la fedeltà a Cristo non solo consente, ma impone di muoversi secondo verità in ossequio al dettato della coscienza.

Papa Paolo VI
Papa Paolo VI

Giovanni Battista Montini, ossia papa Paolo VI, e Domenico Tardini (futuro segretario di stato di Giovanni XXIII, ndr) che lo conobbero come cristiano e galantuomo – i due termini vanno strettamente legati -, lo ebbero come collaboratore fidatissimo. I due, servitori autentici di Dio e della sua Chiesa, pur in certe loro diversità di temperamento e di impostazione, seppero sempre di poter fare affidamento sicuro sull’uomo di fede e sul galantuomo, prima ancora che sul suo alto profilo professionale riconosciuto nell’ambiente del giornalismo nazionale e internazionale.

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Come sappiamo, Alessandrini, assieme all’incarico alla Sala Stampa della Santa Sede, si dedicò ad un lavoro di rassegna stampa italiana ed estera e, dal 1934 al 1938, come viene descritto nel testo fu anche impegnato in una singolare attività giornalistica a stretto contatto con i vertici della Segreteria di Stato: quale peso politico ebbe la sua attività nell’epoca in cui i totalitarismi affliggevano l’Europa?
Va detto, anzitutto, che l’impegno della direzione della Sala Stampa vaticana, voluto da Paolo VI, non fu per nessuno, in Italia e all’estero, una sorpresa. È opportuno inoltre contestualizzare l’importanza dell’attività giornalistica di mio padre, mentre i totalitarismi ideologici affliggevano l’Europa e il mondo. Dopo la caduta dei regimi nazista in Germania e fascista in Italia, il totalitarismo comunista era inteso da lui come minaccia non solo per la libertà di coscienza della persona oppressa e condizionata, ma per quella della Chiesa impedita nella sua missione pastorale: era questo il senso da assegnare alla battaglia per l’unità del voto cattolico in Italia. L’idea della “restaurazione” dello Stato cristiano cara al cardinale Alfredo Ottaviani era aliena del tutto dal suo pensiero. Tra l’altro, i suoi articoli su «Il Quotidiano», a firma Sandro Federici, ed altri successivi si richiamano spesso alla situazione politica inglese, dove i cattolici si sentivano liberi in coscienza di aderire ai partiti Conservatore e Laburista, vista la rinuncia di quest’ultimo a pregiudiziali di stampo marxista leninista.

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Al di là del personaggio “pubblico”, c’è un aspetto particolare della sua figura da evidenziare?
Direi il carattere dell’uomo, che nell’esercizio professionale appariva volta a volta figura rigorosa e comprensiva insieme, verso colleghi e collaboratori, ma che nell’ambito familiare, nel rapporto con gli amici di noi figli e con la gente più semplice da sempre amata, abbandonata ogni forma di rigidezza apparente, dava spazio alle sue doti di innata cordialità unita a quella di una fine ironia ed autoironia. Era infatti uso a dire che, della vita, bisogna saper cogliere insieme gli aspetti seri e semiseri, che sono poi quelli prevalenti.

Il nome Alessandrini, oggi, continua a “riecheggiare” nella natìa Recanati anche grazie ad un altro figlio del professor Federico, Ludovico, già noto dirigente delle rubriche religiose della Rai e impegnato in diversi settori della cultura italiana, venuto a mancare anni fa: a lui, lo ricordiamo, è intitolato il «Premio Ludovico Alessandrini», riconoscimento cinematografico-televisivo assegnato ogni anno a nomi di spicco nel panorama nazionale e che giunge, nel 2016, alla sua decima edizione.

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