f6752448Anna Maria Cacciamani

Udara è una frutta molto dolce e l’albero che lo produce non appartiene a nessuno ma all’intera comunità, e poi non si può raccogliere questa frutta dall’albero: cade quando è matura e così viene raccolta da chi lo vede per primo. Sotto questo albero, i giovani igbo nigeriani vivono il loro amore, si incontrano, si corteggiano, si sfiorano, si attendono. Ma non possono raccogliere Udara se non quando il tempo è maturo. Udara è il simbolo dell’amore. Un frutto dolce che non appartiene a nessuno, che cade e si può prendere solo quando il tempo lo stabilisce. Chi può infatti dire cosa sia Amore?

«Amore significa accettarsi e accettare…accettare che una forza ti rapisca e tu diventi desiderio, desiderio tremante che si dibatte intorno ad un corpo, come la schiuma tra gli scogli», risponde Maria Cristina, con lo sguardo trasognante, citando un verso dei «Dialoghi con Leucò» di Pavese, e aggiunge che quando si parla di amore in gola si strozzano le parole. «Amore è quando mi piace qualcuno» sentenzia la piccola Maria sul sedile della mia auto, mentre mangia serena e tranquilla il suo buondì. «Amore è quando nonostante tutto, l’uno per l’altro c’è sempre! E poi mille altre cose ancora…», dice una giovane mamma col cuore che batte di vita. «Amore è non mettersi mai al primo posto, non lasciare mai nessuno indietro, amore è esserci». La voce emozionata di Cristina si sente appena, persa nel rumore del treno che la sta riportando a casa. Amore…

«Amore, fra gli dèi l’amico degli uomini, il medico, colui che riconduce all’antica condizione. Cercando di far uno ciò che è due, Amore cerca di medicare l’umana natura». Fra gli dei l’amico degli uomini, amore per Platone prende il nome di Eros è figlio di Penia e di Poros, di povertà e ingegno. «È povero sempre, ed è tutt’altro che bello e delicato, come credono i più. Invece, è duro e ispido, scalzo e senza casa, si sdraia sempre per terra senza coperta, e dorme all’aperto davanti alle porte o in mezzo alla strada, perché ha la natura della madre, sempre accompagnato con la povertà. Per ciò che riceve dal padre, invece, egli è insidiatore dei belli e dei buoni, è coraggioso, audace, impetuoso, straordinario cacciatore, intento sempre a tramare intrighi, appassionato di temperanza, pieno di risorse, ricercatore di sapienza per tutta la vita, straordinario incantatore, preparatore di filtri, sofista. E per sua natura non è né mortale né immortale, ma in uno stesso giorno, talora fiorisce e vive quando riesce nei suoi espedienti, talora invece muore, ma poi torna in vita a causa della natura del padre. E ciò che si procura gli sfugge rapidamente di mano, sicché Eros non è mai né povero né ricco».

Impalpabile amore, tutto sembra condurci dentro questa misteriosa e sacra visione. Dal mito alla poesia, dalla voce di piccole e grandi anime in cammino su questa terra è evidente che dire amore voglia dire sillabare una tensione immensa dell’anima. Amore è un movimento, è un procedere verso terre sempre più sconosciute dentro e fuori di noi. E forse più che chiederci cosa sia questo sentimento dal magico e misterioso potere che irretisce la mente e il cuore e ci spinge a racchiudere l’eternità in un istante, forse, ciò che davvero vale la pena fare è amare. Perchè amare non è un semplice infinito, non è neanche un verbo che completa un soggetto in una frase minima. Troppo poco ridurlo a un termine di sintassi. Amare è il tempo della vita. Amare è andare, amare è restare, amare è credere, amare è legare un sogno alla realtà. Solo chi ama è vivo e non si ferma sulla soglia del presente. Amare è un noi, è un tu a cui si fa spazio nel più angusto ripostiglio del proprio esistere. Amare è tessere, con la stessa passione e perizia della fedele Penelope, che ogni giorno ricomincia, perché si nutre di speranza.

Afferma Badiou, ex maoista e sessantottino francese: «Una relazione amorosa è la casualità di un incontro che viene sconfitta giorno dopo giorno dall’invenzione di qualcosa che durerà». Amare è non voltarsi indietro, ma continuare a camminare nonostante tutto, nonostante se stessi. Inquietante verità rivela l’esperienza di Orfeo, che scende negli inferi a pretendere la sua Euridice, sembrerebbe un eroe Orfeo, l’uomo che con la sua musica, con la sua vitalità e i suoi entusiasmi, pone l’amore in contrapposizione alla morte e va a negoziare altri giorni di gioia in un rapporto comunque destinato all’Ade. L’epilogo della storia è noto a tutti: Orfeo ottiene dagli dei degli inferi il permesso di resuscitare Euridice, a patto che non si giri a guardarla finché non saranno usciti dall’Ade. E proprio sul limite, Orfeo si gira. Perché? In una bella canzone, Vecchioni immagina che il divino cantore, ottenuto ciò che agognava, ha paura che Euridice, dopo aver assaporato il freddo della morte non riesca più a scaldarsi al tocco dell’amore, che sia insomma morta dentro, anche se può ancora respirare. Se l’amare è verità incarnata, chi lo sceglie non conosce paura, non teme cammino, non ha bisogno di vedere se l’amata lo segue. L’altra faccia straordinaria dell’amore è, allora, la libertà. «È paziente, è benigno; non è invidioso, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto l’amore, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L’amore non avrà mai fine».

Quali fragili mani, quali incerti pensieri, quali evanescenti sentimenti, quali incontenibili desideri umani possono conoscere questo amore? Forse nessun uomo sulla terra ha mai dato prova di tale amore. Forse amare per i mortali è solo un passo dietro l’altro, un passo da affidare a un altro passo incerto …un passo però che sa mettersi accanto e sa procedere quanto più è capace di sostare e incontrare anche solo per un istante l’origine di quell’amore, una amore che precede e sceglie la carne per vincere l’impossibilità umana. «Amore…Rimani davanti ai miei occhi, e lascia che il tuo sguardo infiammi i miei canti. Resta fra le tue stelle, e alla loro luce lascia ch’io accenda la mia adorazione». Con Tagore contempliamo l’amore. Ed anche se non sappiamo amare che possiamo non smettere mai di cercarlo e in questa ricerca lasciarci pian piano intrappolare da quell’Amore che tutto crede, tutto sopporta tutto spera.

Che anche noi sotto l’albero di Udara sappiamo attendere il tempo propizio per raccogliere il frutto più autentico dell’amore. E se non fosse in questa vita…che importa, noi continuiamo a camminare senza voltarci indietro.

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