Mentre l’Europa sembra un fortino assediato dai suoi egoismi e non intende salvare vite umane, nessuno si accorge che in Italia è boom di immigrati che tornano al loro Paese o si spostano in altre nazioni europee a causa della crisi: secondo l’Istat, nel 2015 almeno 45mila stranieri si sono cancellati dall’anagrafe italiana.

Per la Fondazione Migrantes, che ha il polso della situazione, la cifra è molto più alta: lo scorso anno sarebbero andati vita dall’Italia almeno 200mila immigrati. Una stima che tiene conto di quelli che hanno perso il lavoro e dopo un anno di disoccupazione non possono più rinnovare il permesso di soggiorno, di quelli che partono senza comunicare il cambio di residenza, degli espulsi (circa 14mila lo scorso anno), dei rimpatri volontari assistiti (339 nel 2015, diverse centinaia ogni anno) e degli stagionali.

A tornare a casa sono soprattutto romeni, ecuadoriani, peruviani, polacchi, marocchini. I meno lontani scelgono una migrazione part-time o “circolare”: tre o sei mesi in Moldavia o in Tunisia, gli altri in Italia. Quelli che hanno cittadinanza italiana, spesso con figli nati in Italia, si spostano in Germania, Francia, Olanda, Belgio, Gran Bretagna. Sono tante le storie di quelli che tornano, spesso motivate dalla chiusura delle fabbriche al Nord o dalla difficoltà di trovare lavoro nelle famiglie italiane, che risparmiano sull’assistenza agli anziani o ai bambini.

A Montecchio, in provincia di Vicenza, una ottantina di bangladesi con mogli e figli nati in Italia e iscritti a scuola lavoravano nelle concerie di pelle e nei calzaturifici. La crisi ha colpito duro e tutti insieme hanno fatto le valigie e si sono trasferiti in blocco a Londra, dove almeno parlano una lingua conosciuta. Imelda e Luis, una coppia peruviana che viveva a Torino da decenni, con due figli nati qui, sono tornati lo scorso anno a Lima, in Perù. Imelda aveva preso una laurea breve in infermeria ma non riusciva a trovare lavoro. Luis aveva aperto un negozio di alimentari ma non ingranava. Petruta, giovane romena molto colta, lavorava invece come colf ma non si sentiva soddisfatta né dello stipendio, né da come veniva trattata dalle famiglie italiane, che hanno ristretto i cordoni delle borse e spesso pagano in nero. Si è trasferita in Svizzera, dove guadagna almeno il doppio.

«C’è una moria di partenze», afferma mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes. «Il dato Istat è assolutamente sottostimato perché molti vanno all’estero senza comunicare il cambio di residenza. In tutte le regioni del Nord e del Centro i numeri delle presenze di immigrati stanno calando; mettendo insieme un po’ di dati si arriva almeno a 200mila rientri nel 2015». Tornano a casa soprattutto quelli che lavorano nelle imprese – nel settore edile in particolare – , nell’agricoltura, nel turismo.

«Solo a Bergamo – precisa – nel settore edile sono state chiuse 3mila imprese, moltissime avevano stranieri occupati». Il direttore della Migrantes ricorda l’inversione di tendenza in atto, che si confermerà nel 2016: «Quest’anno nonostante le nascite di più di 85mila bambini stranieri, e altrettanti ricongiungimenti familiari, la crescita dell’immigrazione sarà bassissima, solo qualche migliaio di presenze. In alcune regioni è cominciato già il calo. E per la prima volta abbiamo il calo di studenti stranieri, che non rimpiazzano più gli studenti italiani».

«Il vero problema è che l’immigrazione si è fermata e l’Italia sta vivendo una nuova stagione di emigrazione». Sono stati infatti 100mila gli italiani che lo scorso anno sono andati all’estero. Mentre i richiedenti asilo che riempiono le pagine dei giornali sono una presenza temporanea: tra quelli che sono arrivati (circa 350mila dal 2014 ad oggi) circa 250mila hanno continuato il viaggio verso altri Paesi europei. Nei centri oggi sono accolte 104mila persone. Su 60 milioni e 656mila di residenti in Italia, gli stranieri sono 5 milioni e 54mila (8,3% della popolazione, dati Istat).

Conferma il trend di partenze Laudina Zonca, consigliere nazionale dell’Api-Colf, l’associazione professionale delle collaboratrici familiari di ispirazione cristiana che ha sportelli diffusi su tutto il territorio italiano. «A Torino almeno 2mila persone sono rientrate a casa – racconta -, molte donne romene, peruviane, moldave, ecuadoriane, tornano perché non riescono più a trovare lavoro. Le famiglie italiane non assumono più o pagano in nero. La situazione è seria: abbiamo avuto un calo di iscritti del 15/20%, sono diminuite anche le vertenze sindacali e le cause di lavoro. Noi siamo un buon termometro perché siamo a contatto con le famiglie. La crisi non è ancora finita».

Raffaella Maioni, responsabile nazionale delle Acli Colf, riscontra invece una migrazione di tipo “circolare”: «Trascorrono alcuni mesi in Italia, altri nei rispettivi Paesi. Ma sono molto preoccupate delle difficoltà attuali. Molte si chiedono come faranno a vivere senza una pensione adeguata. Negli ultimi cinque anni sono peggiorate le condizioni di lavoro e c’è più sommerso».

Patrizia Caiffa

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