«Celebrare la Pasqua del Signore significa lasciarsi profondamente interrogare e formare dal suo messaggio. Tutto il mistero pasquale che abbiamo celebrato in questi giorni ci tocca personalmente: è globalmente un messaggio sul senso, sulla direzione giusta del vivere, del morire e dello sperare da cristiani».

Questo il cuore dell’omelia del vescovo Nazzareno Marconi per la Veglia Pasquale del Sabato Santo, presieduta a Macerata, nella Cattedrale di San Giuliano, e conclusasi con un augurio speciale rivolto a tutti i «fratelli» della Chiesa maceratese sua Sposa, che respira di speranza nella notte che prelude la festa più grande per un cristiano: «Ci attende un lungo cammino, ma lo faremo insieme nella fede che il Signore risorto è con noi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

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«Il Giovedì santo, il Venerdì ed il giorno di Pasqua, da questa notte al compimento della celebrazione di domani – dice Marconi -, ci consegnano un triplice messaggio sul segreto della vita, della morte e della speranza, che vorrei brevemente rileggere con voi. Il Giovedì santo ci ha parlato del senso del vivere da cristiani. Il segreto è diventare imitatori di Cristo che obbediscono al suo comando: fate questo in memoria di me. Per noi l’Eucarestia è il pane della vita, perché ci insegna a vivere. La vita vale solo se è eucaristica cioè se è donata, se è fatta dono per gli altri. Come quella di Gesù, la vita va vissuta per far vivere gli altri, che per noi sono tutti fratelli in Cristo. Gesù lo ha detto chiaro, anche se questa parola evangelica la dimentichiamo spesso, che chi vorrà serbare la vita per sé la perderà, mentre chi accetterà di perderla facendone un dono per gli altri la salverà».

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«Vivere una vita eucaristica, secondo l’insegnamento dell’eucarestia, va contro l’individualismo e l’egoismo che dominano la nostra cultura contemporanea. Non è facile per noi, e soprattutto per i giovani che sono nati e cresciuti dentro questo modo di pensare, tutto ripiegato sul proprio piacere, accogliere questo messaggio. Ma tuttavia tanti giovani, che seguono il loro cuore illuminato dalla Parola di Dio, sono capaci di testimoniare che una vita generosa e spesa per il bene è una vita piena di gioia. Nella celebrazione del Giovedì santo l’eucarestia è narrata da Giovanni con il simbolo della lavanda dei piedi: fare della propria vita un dono significa mettersi a servizio degli altri, in particolare disposti ad un servizio umile, generoso, gratuito. In questo mondo, dove tutto si fa per soldi, abbiamo bisogno di tanti che vadano contro corrente, annunciando la gratuità, il vangelo dell’amore che si fa servizio.

«Il Giovedì santo ci ha parlato del senso del vivere da cristiani. Il segreto è diventare imitatori di Cristo che obbediscono al suo comando: fate questo in memoria di me»

Quindi, il riferimento di monsignor Marconi al Calvario e al giorno in cui si è ricordata la Passione di Gesù. «Il Venerdì santo – afferma il vescovo – ci ha parlato del senso del morire da cristiani. Il nostro mondo è davvero strano: da una parte ha una immensa paura di morire, tanto che della morte non si parla e sembra vietato pensarci per prepararsi a viverla bene. Eppure, mai una società è stata così portatrice di morte, dalle stragi in una guerra mondiale continua, anche se fatta a pezzi, alla strage degli aborti, alla strage nascosta eppure già molto reale della cosiddetta «dolce morte», l’eutanasia».

09-croce-di-cristoDa parte di don Nazzareno, inoltre, non è mancato un richiamo al tempo delicato e complesso che la società odierna sta vivendo, con tutte le sue afflizioni. «E’ un mondo che ha paura della morte, cerca di dimenticarla, eppure la cerca di continuo. Gesù sulla croce ci insegna che si muore così come si è vissuti, e si muore amando Dio ed i fratelli, solo se si è vissuti amando Dio e gli altri. Le parole di Gesù in croce, parole di perdono e di affidamento a Dio Padre sono il senso del nostro vivere e del nostro morire. Il Venerdì santo ci insegna che la croce come quella di Cristo la può vivere solo chi ha fatto con lui la via crucis, lungo tutta la vita. La celebrazione della Via crucis durante questo giubileo in cui l’abbiamo collegata alle opere di misericordia spirituali e corporali, mi ha fatto riscoprire quanto davvero ciò che conta è fare del bene lungo tutto il corso della vita. Ed un bene – aggiunge il Pastore – che non guarda solo al corpo, ma anche all’anima: il nostro mondo è pieno di anime affamate di fede, assetate di speranza, ferite dalla mancanza di amore. C’è davvero tanto bene da fare. E’ questa la migliore via crucis, la via che ci porta a morire bene, come ha fatto Gesù».
Poi, l’attesa che lascia spazio alla gioia vera, da attuare concretamente, andando “controcorrente” rispetto alle tendenze del mondo di oggi: «La celebrazione pasquale che stiamo vivendo ci insegna infine come sperare da cristiani. Anche questo messaggio mi sembra oggi particolarmente prezioso. Non sappiamo più sperare. Non sappiamo più guardare al futuro attendendo da Dio che maturino i frutti di bene seminati nei solchi del mondo. Oggi ricerchiamo sempre il tutto e subito, costretti ad accontentarci della mediocrità, perchè le cose davvero buone si costruiscono solo con il tempo ed il lavoro paziente.

«Oggi ricerchiamo sempre il tutto e subito, costretti ad accontentarci della mediocrità, perchè le cose davvero buone si costruiscono solo con il tempo ed il lavoro paziente»

tomba vuotaLe “piaghe” con cui l’uomo contemporaneo combatte sono chiare e inequivocabili, sostiene il vescovo Marconi, e si delineano nella sfera educativa, nel potere di chi governa e nelle scelte sentimentali. «E’ il disastro della educazione dei nostri giovani – sottolinea il presule -, un imparaticcio veloce di tante cose tecniche, che non li fa maturare come persone. E’ il disastro della politica, che non sa più programmare e costruire nel bene comune il futuro e la pace, ma gestisce solo la spartizione della ricchezza rimasta. E’ il disastro delle relazioni affettive, che non sanno più costruire con pazienza dei legami che puntino al «per sempre».

Infine, per la notte di Pasqua e la vita di ogni giorno, l’incoraggiamento di cui tutti abbiamo reale bisogno: «Dobbiamo imparare di nuovo a sperare, la nostra società però potrà farlo solo se impara di nuovo a vivere e morire guidata dalle parole della fede e dall’esempio dei veri credenti».

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Foto Stefano Salvucci

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