L’Istat, in base all’ultima rilevazione, ha reso noto che, nel febbraio 2016, i disoccupati sono aumentati di quasi 7mila unità rispetto all’inizio dell’anno e che il tasso di disoccupazione è ora pari all’11,7% (+ 0,1%). Nello stesso mese, la disoccupazione giovanile al 39,1%, ha avuto un leggerissimo calo (pari allo 0,1%). Ma a tal riguardo, l’Istat ha precisato che dal calcolo del tasso di disoccupazione sono esclusi i giovani “inoccupati” e non in cerca di lavoro.

Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, ha osservato che tali dati «indicano che il mercato continua a registrare oscillazioni congiunturali legate a una situazione economica che presenta ancora incertezze». Finito l’effetto degli incentivi alle assunzioni, la disoccupazione tende a salire. Ma «più che monitorare le altalenanti variazioni mese per mese, conviene considerare l’andamento del mercato del lavoro nel medio periodo», ha onestamente commentato il segretario confederale della Cisl, Gigi Petteni e ha aggiunto: «La riforma del lavoro sarà vincente solo se si delineerà un quadro di ripresa effettiva e di opportuni investimenti». Egli ha inoltre assicurato che la Cisl resta impegnata a presentare proposte concrete al fine di contribuire a superare talune criticità, come ad esempio sta accadendo con l’aumento vertiginoso dei voucher, un effetto non voluto dei freni apportati all’utilizzo del falso lavoro autonomo.

Ancora secondo l’Istat, a febbraio ci sono 97 mila occupati in meno, a causa della riduzione dei lavoratori permanenti. Per i dipendenti a tempo indeterminato è il primo calo dall’inizio del 2015. Si tratta, purtroppo di una «secca riduzione», scrive «Avvenire» (leggi qui l’articolo), visto pure che il fenomeno è osservato nel medio-lungo periodo. In dettaglio, «dopo la forte crescita registrata a gennaio 2016 (+0,7%, pari a +98 mila) – spiega l’Istituto in un comunicato stampa – presumibilmente associata al meccanismo d’incentivi introdotto dalla legge di stabilità 2015, il calo registrato nell’ultimo mese riporta la stima dei dipendenti permanenti ai livelli del dicembre 2015.

Per i dipendenti a termine prosegue la tendenza negativa, già osservata nello scorso mese di agosto». Le imprese, dunque, avrebbero accelerato le attivazioni di nuovi contratti a fine dicembre dello scorso anno, per godere dei maggiori sgravi contributivi previsti dalla legge di Stabilità. Questo spiegherebbe il dato positivo registrato dall’Istat a gennaio, mentre a febbraio la tendenza s’è attenuata in modo deciso. Senza tanto disquisire, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha realisticamente ammesso: «Quando in un Paese c’è la disoccupazione giovanile al 39%, vuol dire che abbiamo bisogno di creare lavoro». Servono, dunque, reali interventi da parte del governo, specie nei settori maggiormente a rischio di abusi, ed una vera apertura al dialogo sociale.

Ciò che senz’altro andrebbe valorizzato e meglio strutturato è proprio il ruolo delle parti sociali, in occasione di riforme di un’evidente rilevanza sul piano occupazionale. D’altra parte la tendenza a bypassare le “parti sociali” costituzionalmente legittimate a contrattare – cioè i «corpi intermedi a finalità economico-sociali» con un loro specifico compito, nel rispetto del principio di sussidiarietà – risulta del tutto fallimentare. Basti riflettere su ciò che sta accadendo in Francia, dove lo scontro tra governo e sindacati sta a dimostrare che una riforma del lavoro del tutto imposta, e tra l’altro con aumento della precarietà e licenziamenti facili, non passa. «È ora che il governo ci ascolti anche per rivedere il sistema pensionistico, introducendo la flessibilità in uscita – ha precisato il segretario della Cisl Gigi Petteni – cosa che aprirebbe qualche spazio ai giovani e consentirebbe quindi di aggredire l’elevatissima disoccupazione giovanile».

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