Gianmario MandorliniQuesta mattina, nella chiesa di Santa Croce a Macerata la comunità parrocchiale commossa e piena di gratitudine ha dato l’ultimo saluto a Gianmario Mandorlini, salito al cielo nella notte tra il 6 e il 7 aprile dopo una breve e inesorabile malattia. Un esempio di umiltà e semplicità, che con il suo operare discreto ha saputo aiutare ed essere vicino al prossimo donando sempre un sorriso, nonostante le dure prove che la vita gli imposto. Tra le tante attività cui era coinvolto in aiuto alla parrocchia c’era anche la distribuzione del nostro settimanale «Emmaus», che svolgeva con grande precisione e generosità.
I funerali sono stati celebrati da monsignor Pio Pesaresi insieme a don Patrizio Santinelli e al parroco don Alberto Forconi del quale Gianmario era uno stretto e prezioso collaboratore. Di seguito pubblichiamo il suo profilo letto durante le esequie dal caro amico Mario Sperandini.


Gianmario è nato in una famiglia operaia della nostra città; il padre Roberto era muratore e la madre Elvira, casalinga. Ben presto cercò lavoro per aiutare la famiglia e per diventare autonomo economicamente, anche perché aveva perso il padre, deceduto molto giovane in un incidente. Fu assunto presso l’UPIM, i primi grandi magazzini aperti a Macerata, poi conobbe Rita, una bella ragazza che lavorava come sarta, con la quale nel 1967 si sposò in questa chiesa.
Nel 1970, dopo aver partecipato a un corso per infermiere psichiatrico, fu assunto nel manicomio di Santa Croce. In quell’ambiente difficile, a contatto con la sofferenza, conobbe altri infermieri che stavano cercando di vivere la spiritualità dell’unità e della fraternità universale tipica del Movimento dei Focolari. Insieme agli altri riscoprì Dio, che in quell’ambiente si manifestava loro come “abbandonato”, carne viva di Cristo, riflessa nelle persone dei malati. Maturò in lui la vocazione a scegliere quel Gesù abbandonato che poteva abbracciare nei dolori umani che lo circondavano in quell’ambiente e fuori. Da ciò la decisione di fare qualcosa per cambiare la struttura manicomiale: numerose furono le iniziative concrete intraprese nel tentativo di dare dignità al malato, che diveniva così centro dell’attenzione propria e del gruppo di persone del Movimento dei Focolari, che nel frattempo si era costituito all’interno dell’Ospedale. L’umanizzazione dei rapporti con i malati, i loro familiari e i colleghi, portò a programmare, nel tempo libero dal lavoro, delle uscite dei degenti all’esterno dell’ospedale, che allora non prevedeva il contatto con l’esterno.
La fraternità universale lo vedeva sempre pronto a dare il proprio contributo: come per l’Operazione Africa o per l’Operazione America Latina, per la costituzione di una cooperativa di consumo all’interno del manicomio, o, insieme a Rita, quando misero a disposizione la loro casa per creare un deposito di vestiario per persone disagiate. Poi si impegnò anche come rappresentante sindacale del personale infermieristico, non solo a livello del manicomio, ma anche nel direttivo provinciale della Cisl. In occasione del terremoto in Campania del 1980, sentì che doveva fare qualcosa: nei primi mesi dell’anno successivo partì insieme ad altri maceratesi per assistere le molte persone ospitate in un centro di accoglienza a Castellabbate (in provincia di Salerno).
Nei primi anni 80 Gianmario compì un’altra scelta: decise, insieme ad altri, di andare a lavorare volontariamente nelle nuove strutture esterne all’ospedale psichiatrico, per contribuire a creare i servizi territoriali per i malati psichiatrici, proprio per continuare ad amare quel Gesù abbandonato che aveva conosciuto, anche se ciò portava per lui, come per gli altri, incertezze e situazioni più rischiose.
In questo suo porsi evangelico, anche con i limiti che ogni uomo porta con sé, arrivò un periodo straziante per la sua famiglia: la malattia e la morte di Robertino, poi quella dell’altro figlio Riccardo, eventi che misero a dura prova la sua fede e quella di Rita. La scelta di Gesù abbandonato che aveva fatto personalmente e insieme alla sua comunità fu l’unico sostegno in quegli anni. Quel Gesù che aveva conosciuto come “Abbandonato” e crocifisso e che aveva accolto nei dolori degli altri, ora lo toccava profondamente e drammaticamente, non senza smarrimento. Ma la fede in Dio Amore, che non ci tutela dalle malattie e dalle sventure – non è e non può essere una sorta di assicurazione – fu più forte, tanto da fargli sentire che proprio in questi dolori Dio era più vicino a lui e alla sua famiglia e che partecipava con lui in qualche modo alla redenzione del mondo.
Così non si chiuse in se stesso: andato in pensione sentì che doveva mettersi a disposizione della comunità parrocchiale, dove lo abbiamo visto tante volte aiutare i sacerdoti nelle varie concrete attività parrocchiali e impegnandosi in favore della missione diocesana di don Patrizio in Albania. Fu tra i fondatori e animatori dell’Associazione Gio-Vita, che opera nel settore dell’educazione fisico-sportiva, di cui ultimamente era anche presidente. Intraprese anche un corso per sommelier, perché era amante delle cose buone del mondo, che non disdegnava.
In quest’ultimo tempo – l’ultimo atto della sua vita -, ha affrontato la malattia accettandola con dolore sereno, che ci dice quanto l’aver scoperto e vissuto l’abbandono di Gesù come stile di vita, fosse la parte più profonda e intima della sua anima.
Gianmario, possiamo dire, “consumato” dalla sofferenza, ci appare come pietra viva nella costruzione della storia dell’umanità e dei suoi valori. Quello che oggi ci può sembrare un “silenzio di Dio”, in realtà ci si rivela come una sua particolare presenza, in questo “sacerdozio pienamente umano” incarnato nel concreto di ogni giorno e aperto totalmente sull’eternità.
Ora Gianmario, dopo la sua personale e lunga Via Crucis è accolto da quel Gesù che ha riconosciuto tante volte nelle persone che ha aiutato e che spesso gli ha fatto dire: “La mia notte non ha oscurità”. Ora Gianmario ha anche riabbracciato i suoi genitori e i figli.
Non possiamo che concludere con un grande grazie a Gianmario per la sua giovialità di persona sempre pronta ad accogliere e ad unire; un grazie speciale va a Rita e alle rispettive famiglie per la testimonianza che ci hanno dato e che ci hanno fatto più ricchi di vita e di speranza.


Mercoledì 13 aprile, alle ore 18.30, nella chiesa di Santa Croce, verrà celebrata la messa in suffragio.

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