Riceviamo e pubblichiamo l’intervista realizzata dalla giornalista Maria Cristina Pasquali alla psicoanalista Graziella Carassi, originaria di Potenza Picena e di Offida, a un anno dalla morte di padre Ortensio da Spinetoli, avvenuta a Recanati il 31 marzo scorso all’età di 90 anni.

Come ha conosciuto l’esegeta e biblista padre Ortensio?
L’ho incontrato ad Osimo, a metà degli anni ’60, ad una conferenza sull’Infanzia di Gesù. C’era un clima di attesa quel giorno, perché la sua notorietà, nazionale ed internazionale, di grande studioso biblico e la novità delle sue osservazioni teologiche attraevano e richiamavano l’attenzione di molte persone. Fin dall’inizio fui colpita dal suo grande coraggio nell’affrontare temi spinosi, dalla sua apertura mentale scevra da pregiudizi e chiusure. E soprattutto, dalla sua grande capacità di accoglienza e di umanità che più tardi sperimentai anche nella Confessione. La sua naturale elasticità intellettiva era arricchita da studi approfonditi che esaltavano sempre e comunque il rapporto, la comunicazione, respingendo l’esclusione e l’emarginazione.

Infatti, padroneggiando 7 lingue straniere, tra cui l’Aramaico e il Greco antico, ha fatto del dialogo il punto fondamentale dell’applicazione delle idee che esprimeva per iscritto. Ha dialogato umilmente con tutti senza distinzione di razza, sesso e religione. Il suo messaggio, che proveniva da una esegesi attenta del Vangelo, conteneva anche il proposito di riportare la Chiesa alla semplicità, alla umiltà e alla povertà delle origini, quando Cristo si proclamava il servo dei servi e non il re dei re. Sfaldando anche l’immagine di un Dio giudice severo, quando lui stesso confessore praticava la misericordia nel giudizio. Era convinto che il senso di colpa imprigionava la persona, la paralizzava impedendole non solo di liberarsi dal male ma anche di proseguire verso il bene. Esprimeva poi grande forza nell’incoraggiamento. Per questo aveva instaurato una corrispondenza con papa Francesco, dal quale sentiva di essere compreso a fondo.

Per quale ragione, a distanza di un anno dalla sua morte, desidera ricordarlo?
Intanto per riferire che è stata officiata una Messa di commemorazione per lui nel Santuario della Madonna di Spinetoli, miracolosa per i soldati in guerra, situato vicino alla sua casa natale, dove Nazzareno Urbanelli bambino, il futuro p. Ortensio, faceva il chierichetto. Alla cerimonia erano presenti i giovani della famiglia Urbanelli (padre Callisto e padre Agatangelo, anch’essi Cappuccini e scrittori, sono morti da tempo; mentre l’altro fratello Francesco, di anni 95, non è stato messo al corrente della morte di Ortensio) , come pure amici e parenti di vari paesi delle Marche. A proposito dell’orazione funebre per mia madre, Clarice Rampioni Carassi, non dimenticherò alcune sue parole affettuose e consolatorie: «La nostra vera patria è nei cieli» (Fil 3,20-21).

La morte non è la fine, ma l’inizio della vita. Essa riguarda noi, non Clarice. Siamo noi ora gli infermi, i paralitici, i ciechi che attendono la guarigione. Non dipende dal nostro credere o non credere il destino di felicità che ci attende, come non dipende da nessuno di noi l’esistere o il non esistere. Possiamo solo accettarlo di buona volontà come ha fatto lei che nella fede ha trovato sempre la sua serenità e la sua pace. Nel nostro dolore troviamo conforto nella parola del Signore che supera ogni nostra attesa. Con la liturgia ripetiamo ancora una volta anche noi: «La vita eterna dona a Lei Signore, splenda su di lei la luce perpetua, viva in pace. Così sia». Parole così semplici, personalizzate, genuine, direi candide, tali da giungere naturalmente al cuore di noi tutti, portandovi calore e speranza.

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