«Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo». In occasione della 50esima Giornata mondiale per le Comunicazioni sociali che si celebra oggi, domenica 8 maggio, Massimiliano Padula, docente di Comunicazione (Pontificia Università Lateranense) e Sociologia dell’organizzazione e del tempo libero (Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium), dallo scorso gennaio Presidente nazionale dell’Aiart (Associazione spettatori cattolici), traccia per Emmausonline alcune “linee” delle nuove frontiere comunicative alla luce della sua ultima pubblicazione «Umanità mediale. Teoria sociale e prospettive educative», scritto a quattro mani con Filippo Ceretti.

Presidente, da poco è alla guida dell’Aiart. In un’intervista rilasciata al Sir sui nuovi “orizzonti” mediatici ha dichiarato che «si è passati da una ricezione tradizionale, in cui la tv era seguita in modo statico e stanziale, a una personale che si caratterizza per la gestione autonoma e creativa dei contenuti su dispositivi mobili in modalità dinamica e nomade». Che genere di abitanti digitali stiamo diventando?
Il tema della «digital citinzenship» è al centro del dibattito da diversi anni, da quando cioè i tecnomedia digitali abbracciano e influenzano le nostre vite. Non è l’uomo a modificarsi né i suoi diritti e doveri. Ma mutano le percezioni, i tempi e gli spazi dell’esistenza, le modalità di relazione e di conoscenza. La cultura digitale è disponibile, infinita, caotica, ambigua. Comprenderne i paradigmi diventa, quindi, imprescindibile per abitare questi spazi e farlo (co)responsabilmente. Proprio come afferma papa Francesco quando, nel Messaggio per questa Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, scrive che «l’accesso alle reti digitali comporta una responsabilità per l’altro, che non vediamo ma è reale, ha la sua dignità che va rispettata».

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«Comunicare significa condividere, e la condivisione richiede l’ascolto, l’accoglienza. Ascoltare è molto più che udire. L’udire riguarda l’ambito dell’informazione; ascoltare, invece, rimanda a quello della comunicazione, e richiede la vicinanza», raccomanda Francesco nel Messaggio per la 50esima Giornata mondiale per le Comunicazioni sociali. Ma il nostro mondo mediale offre veramente i presupposti per questa “vicinanza”?
Ulrick Beck nel suo «Amore a distanza» (edito da Laterza, ndr) racconta dell’appuntamento quotidiano tra una coppia di nonni e il loro nipotino Alex di tre anni. Un incontro straordinario, vissuto nell’amore e nella tenerezza familiare. Però Alex vive In Inghilterra mentre i nonni in Grecia. Benché ciascuno rimanga nel proprio luogo, scrive ancora il sociologo tedesco, si tratta di un amore vissuto «nella massima, prossimità, ogni oltre distanza e confine». «La Rete – cito ancora il Messaggio di Francesco – può essere ben utilizzata per far crescere una società sana e aperta alla condivisione».

4571Nel suo libro «Umanità mediale» si chiarisce che i media sono proiezioni dell’essere umano e non “dispositivi” separati da lui: l’uomo non usa i mezzi di comunicazione, ma è egli stesso medium. McLuhan sembrerebbe preistoria a confronto…
Non si tratta di rottamare il pensiero di McLuhan, ma di attualizzarlo alla luce della contemporaneità mediale. La sua frase simbolo «the medium is the message», perde peso specifico in relazione ad un legame (quello tra uomo e media) sempre meno visibile e tangibile. Viviamo in una condizione post-mediale, nella quale la nostra prossimità col mezzo si naturalizza, si sfuma, è trasparente. Anche per questo è necessario riposizionare l’uomo al centro di qualunque riflessione intorno alla tecnologia.

Sua è l’affermazione, ad un recente incontro nazionale promosso dalla Federazione italiana settimanali cattolici: «Essere uomini, giornalisti, professionisti mediali significa anzitutto intercettare il latente, l’incerto, gli assiomi della contemporaneità. Condividere pratiche culturali ad hoc fondamentali per agire giornalisticamente in modo efficace ed efficiente. Non è un’operazione facile. L’umanità è per definizione instabile, alla distrazione, alla stanchezza. Per questo anche l’uomo mediale deve essere educato. Deve educarsi medialmente e deve essere meducato».
Se la cultura digitale è per definizione caotica è evidente che gli individui fatichino a seguire cammini lineari ed equilibrati. Per questo è necessario insistere sull’educazione intesa come il processo integrato e integrale che permette all’uomo di guardare, interpretare, capire, discernere e scegliere. Questo vale anche per i giornalisti che sovente si trovano destabilizzati dalle nuove pratiche e dai nuovi formati della comunicazione. Meducarsi (educarsi medialmente) è, quindi, l’unica strada per rimanere se stessi ed orientarsi negli anfratti di questa cultura.

«Educarsi medialmente è l’unica strada per rimanere se stessi ed orientarsi negli anfratti di questa cultura»

Anche alla luce della prossima riforma dell’editoria, molto si discute a proposito del confronto tra stampa cartacea e digitale, con uno sguardo ai futuri (o già attuali) panorami che si prospettano per i media diocesani: c’è ancora speranza per i mezzi di comunicazione tradizionale?
Sono ottimista. Nella complessità dell’adesso, è l’eccellenza ad emergere. I media diocesani hanno tradizione e identità consolidata. Non è sempre necessario modificare la periodicità o sbarcare su piattaforme online ma percepire il cambiamento e adattarsi ai suoi codici, tempi, spazi e modalità di creazione e fruizione dei contenuti.

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