Leggere la parabola del Padre misericordioso partendo dalla fine, cioè dalla “gioia” del padre, per scoprire quanta “tenerezza” ci sia in questa figura che aspetta il ritorno del figlio “continuamente”. È l’invito del Papa ai 20mila fedeli presenti mercoledì 11 maggio in piazza San Pietro, nonostante la minaccia incombente di pioggia su Roma: proprio per questo, il Papa ha salutato poco prima i malati e i disabili, con i loro accompagnatori, nell’atrio dell’Aula Paolo VI, e una volta arrivato in piazza ha chiesto alla folla di salutare a propria volta coloro che hanno seguito l’appuntamento del mercoledì dai maxischermi: «Due posti ma una sola udienza», le sue parole.

Tutti la conoscono come parabola del figliol prodigo, ma si chiama “parabola del padre misericordioso”, e il Papa la cita continuamente nei suoi pronunciamenti pubblici, aggiungendo però ogni volta un approfondimento in più. Quello di oggi è l’invito a leggerla in senso inverso, capovolgendo la cronologia, entrando così in profondità nella “gioia del cuore del Padre”, che dice: «Facciamo festa perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». Sono le parole con cui «il padre ha interrotto il figlio minore nel momento in cui stava confessando la sua colpa: “Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio…”». Espressione “insopportabile” per il cuore del padre: «Gesù non descrive un padre offeso e risentito, un padre che, ad esempio, dice al figlio: “Me la pagherai”: no, il padre lo abbraccia, lo aspetta con amore», perché «l’unica cosa che ha a cuore è che questo figlio sia davanti a lui sano e salvo e questo lo fa felice e fa festa». «Quanta tenerezza» nell’accoglienza del figlio che ritorna, sottolinea Francesco a proposito del racconto “commovente”. Il padre «lo vide da lontano: cosa significa questo? Che il padre saliva sul terrazzo continuamente per guardare la strada e vedere se il figlio tornava: quel figlio che aveva combinato di tutto, ma il padre lo aspettava».

«Che cosa bella la tenerezza del padre!», esclama il Papa: «La misericordia del padre è traboccante, incondizionata, e si manifesta ancor prima che il figlio parli». Così, le parole del figlio – «ho peccato… trattami come uno dei suoi salariati» – si dissolvono davanti al perdono del padre: «L’abbraccio e il bacio di suo papà gli fanno capire che è stato sempre considerato figlio, nonostante tutto».

«Nessuno può toglierci» la dignità di figli, «neppure il diavolo», ha commentato Francesco.

Non bisogna “disperare mai”, l’invito di Francesco, che cita le mamme e i papà «in apprensione quando vedono i figli allontanarsi imboccando strade pericolose», i parroci e i catechisti che «a volte si domandano se il loro lavoro è stato vano», ma anche «chi si trova in carcere e gli sembra che la sua vita sia finita», quanti «hanno compiuto scelte sbagliate e non riescono a guardare il futuro» e «tutti coloro che hanno fame di misericordia e di perdono e credono di non meritarlo».

«In qualunque situazione della vita – l’insegnamento della parabola – non devo dimenticare che non smetterò mai di essere figlio di Dio, essere figlio di un padre che mi ama e attende il mio ritorno. Anche nella situazione più brutta della vita, Dio mi attende, Dio vuole abbracciarmi, Dio mi aspetta».

Il secondo protagonista della parabola è il figlio maggiore, che “non dice mai “padre”, non dice mai “fratello”, pensa soltanto a sé stesso, si vanta di essere rimasto sempre accanto al padre e di averlo servito; eppure non ha mai vissuto con gioia questa vicinanza. «Povero padre! Un figlio se n’era andato e l’altro non gli è mai stato davvero vicino!».

Il figlio maggiore, siamo noi quando vogliamo “barattare” con Dio per “un compenso”:

«rappresenta noi quando ci domandiamo se valga la pena faticare tanto se poi non riceviamo nulla in cambio». «La sofferenza del padre è come la sofferenza di Dio, la sofferenza di Gesù quando ci allontaniamo o perché andiamo lontano o perché siamo vicini ma senza essere vicini», ha concluso il Papa. «La gioia più grande per il padre», invece, è «vedere che i suoi figli si riconoscano fratelli».

M. Michela Nicolais

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