Dall’Africa, come promesso, arriva un’altra emozionante “pagina” della missione che, giorno dopo giorno, non smette di riservare sorprese e strappare…. sorrisi. Dopo l’arrivo e la prima fase di permanenza a Lomè, ecco il racconto di un incontro speciale, altro tassello di un cammino destinato a lasciare un segno indelebile nell’animo.


«Aiutare», parola preziosa nella vita di ogni uomo. Come insegna Aristotele, «l’uomo è un essere politico e sociale», quindi è davvero impossibile per l’essere vivente di ogni terra e di ogni condizione vivere senza l’altro. Mi chiedo, allora, cosa significhi vivere con l’altro. Intanto, una prima risposta mi viene proprio dalle voci profonde della gente che vive accanto a me. Quello che un po’ con fatica e un po’ con sorpresa scopro ogni giorno è che si può vivere davvero accanto all’altro percependolo come un tu che ti ostacola e al tempo stesso ti rivela.

In questa terra di colori strazianti e luminosi, tra le contraddizioni di una cultura che ti ruba l’anima e i pensieri, credo che si viva tutto accanto e dentro la relazione con l’altro. L’altro è chi ti interpella sempre, ti chiama anche quando non ti riguarda. Mentre cammino sotto il sole infuocato, e sulla mia pelle scendono gocce di sudore e a tratti lacrime di commozione, una voce costante mi insegue: «Iovò, Iovò, da Iovò. Iovò l’argent». Per i bambini che mi rincorrono curiosi e per la gente del posto io comunque esisto, e sono «Iovo», sono mamma bianca che ha i soldi. Il fastidio iniziale di chi mi chiede soldi lascia pian piano spazio alla sorpresa. Non importa se i soldi poi io li tiro fuori, non importa quello che faccio ma quello che sono. E per la storia che mi ha preceduto questo sono, una donna, grande quindi mamma, qui in africa non si può essere diversamente, e sicuramente con i soldi, se ho attraversato il cielo per raggiungere questa terra.

«Per i bambini che mi rincorrono curiosi e per la gente del posto io comunque esisto, e sono “Iovo”, sono mamma bianca che ha i soldi. Il fastidio iniziale di chi mi chiede soldi lascia pian piano spazio alla sorpresa. Non importa se i soldi poi io li tiro fuori, non importa quello che faccio ma quello che sono»

Se entro in questa verità con cuore libero poi trovo la strada per restituire quello che ogni giorno mi viene donato. Il sorriso, sempre e comunque. Perché l’altro, straniero o familiare è comunque un dono. Porta cioè in se una forza e una ricchezza che può essere attesa, come un fiore che ha bisogno di tempo, di cura, di fortuna per tirar fuori tutta la sua bellezza e il suo profumo.

2016-06-22 10.10.59 - CopiaQuante storie di aiuto ho ascoltato nella piccola comunità di suore dove sono ospite. Un aiuto che è naturale per chi si mette a servizio di tanta gente. Un aiuto che è prima di tutto presenza umile e discreta. Un aiuto che ha la forza dei gesti più che la fierezza delle parole. Andando a trovare con una novizia della comunità, Diane, un uomo anziano, povero e malato, per portare a lui e alla sua famiglia un sacco di riso, quello che mi ha colpito è stata soprattutto la naturalezza con cui tutto si è svolto. Ma soprattutto che ogni aiuto dato nasce da un cammino.

Niente è facile in questa terra. Davvero niente. Basta una giornata di pioggia per rendere una strada impraticabile, ma è solo la strada che si apre fuori, e che ti chiede di fare i conti con la fatica ma anche con la forza della scelta, quella di continuare a camminare seguendo la via più profonda che hai tracciato dentro di te. Per raggiungere la piccola casa in muratura persa nel villaggio bisogna camminare a lungo sotto il sole che scalda e consuma. Per la strada incontri, bambini che giocano, uomini che lavorano ad un nuovo cantiere, donne che vendono, gente che si muove in moto.

La strada è la vita e la vita è incontrare. E incontrare viene prima di ogni difficoltà. Arrivate a destinazione, salutiamo una donna seduta a terra, è enorme, parla solo evè, lingua totalmente ignota a me e appena familiare per Diane. Ma poco importa che quei suoni siano sconosciuti, la donna ci sorride è in compagnia di alcuni bambini che dormono a terra e di due giovani. Ci indica l’entrata. Ci avviciniamo, Diane mi precede e si toglie le scarpe, io d’istinto la imito. Un piccolo corridoio scuro ci introduce ad una stanza. Nella penombra, tra una nuvola di vestiti appesi ad un filo, si intravede la figura di un uomo anziano. E’ tutto nudo, ha solo una stoffa appoggiata sulle gambe a coprirlo. Si è rotto il femore un po’ di tempo fa e non cammina più. Ci accoglie con un sorriso che arriva dalla sua bocca scura e soprattutto dai suoi occhi pieni di luce. Nessuna disperazione nelle sue parole ma un profondo senso di gratitudine per la nostra presenza. Il primo pensiero che lacera la mente è come sia possibile vivere lì. Poi ascolto la conversazione, provo a tendere una mano, restituisco il sorriso. Il secondo pensiero un po’ più coraggioso mi spinge a restare lì, a prendere tutto, anche quell’odore acre che avvolge la stanza.

2016-06-22 09.40.57 - Copia

In Africa si aiuta così, un cammino, il sudore e la fatica che ti preparano, un po’ di riso e un tempo in cui restare accanto. Con semplicità. Poche parole, ma la pienezza di un incontro che comunque resta appeso all’anima. E il cammino riprende, con passi stanchi ma il cuore pieno di vita.

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