Se dovessi provare a dire alcune parole che definiscano  l’esperienza di  Padre Massimo mi vengono: obbedienza e libertà. Non tanto e non solo perché ci facciamo una lunga chiacchierata nell’imminenza del suo trasferimento a Milano. Come avviene negli ordini religiosi, e comunque certamente in quello agostiniano, l’avvicendamento tra le varie comunità è consueto, anche se non schematico. Forse è un modo sapiente per mettere in moto quelle virtù o caratteristiche che sono proprio alla base dell’esperienza religiosa: il non possesso (non ci sono ruoli, incarichi o luoghi di proprietà, ma solo occasioni e circostanze di servizio e testimonianza), l’affidarsi, la libertà e, appunto, l’obbedienza. Quindi Padre Massimo Giustozzo lascia la comunità agostiniana di Tolentino dopo sette anni da Priore.

Foto Mario Lambertucci
Foto Mario Lambertucci

Appena la Festa del Perdono (18 settembre, leggi qui l’articolo) raggiungerà la comunità di Milano che regge la Parrocchia di Santa Rita, nell’immediata periferia. Più di ventimila anime e 5 agostiniani. Lascia molto: i rapporti che man mano sono cresciuti, le persone che lo hanno incontrato personalmente o attraverso i suoi momenti di preghiera e catechesi, in uno straordinario passa parola che riempie l’intera basilica, lascia un rinnovato rapporto di collaborazione, apertura e condivisione tra la comunità agostiniana e tutti i sacerdoti (“sempre più si sta pensando alla Chiesa come una ricchezza comune”, dice) grazie anche alla grande stima e sintonia di fede divisa con il vicario pastorale don Vittorio Serafini.

Foto Mario Lambertucci
Foto Mario Lambertucci

Il molto che lascia è testimoniato anche dalla cena di saluto a cui hanno partecipato oltre 700 persone, di Tolentino e di paesi anche oltre provincia. Un percorso, quello di padre Massimo, che nasce da una vocazione adulta, suscitata forse in modo repentino  da un incontro in cui è restata quasi martellante una frase di Sant’Agostino presa da quel libro delle Confessioni , regalato da un padre agostiniano, proprio in una confessione: “Tardi ti amai”.  Un sentimento di condivisione della stessa esperienza del Santo: “la bellezza dell’incontro con il Signore cercato per tutta la vita. Ho sentito che l’esperienza del peccato non annulla l’amore di Dio, anzi!”. (Una scoperta che è diventata la coscienza della sua vita, essendo forse la caratteristica più profonda che i suoi tanti amici hanno percepito, vedendo sua nella cordialità e disponibilità proprio il volto dell’amore di Dio che si fa concreto in un incontro umano e che in fondo ognuno cerca, pur nelle distrazioni del cammino).

Un'icona di padre Massimo
Un’icona di padre Massimo

Quindi, venticinquenne, l’ingresso nella comunità agostiniana “scoperta come la propria famiglia”. Il noviziato è a Tolentino, negli anni ‘86/’87. Poi Roma, con gli studi alla Gregoriana che consentono una conoscenza profonda della Chiesa, con tutte le sue culture e la sua storia. Una esperienza diretta della sua natura universale e cattolica. “Ho capito che se uno ha ricevuto dei doni dal Signore, questi sono per lui e per la Chiesa, che è molto più grande.” Un paio d’anni a Firenze, con “l’esperienza della bellezza della diocesi, del vescovo, dei sacerdoti, la vicinanza della gente, pur in una realtà molto secolarizzata. Sette anni fa l’impatto con Tolentino, la sorpresa del saluto delle persone incontrate per strada. E nella Chiesa vedere “la bellezza dei carismi che conoscevo in senso universale, dare vita alle persone. Un dono per la Chiesa che diventa concreto in un volto e in un luogo preciso. Gli uomini, quando sono vivi, quando cercano, si incontrano.  Ho visto qui gli intrecci tra la fede, la cultura, la famiglia, le persone, la storia. È come se l’universale si concentrasse nel particolare di ogni persona di ogni realtà.”

img-20160910-wa0009Da questa esperienza nasce anche una considerazione sulla natura della Chiesa, che emerge ancora più chiaramente oggi, quando alcuni rischiano di vedere una contraddizione, una contrapposizione tra il carisma e la struttura. “Un legame che invece c’è e deve esserci, come negli ordini religiosi, nei movimenti e nella Chiesa: una fisicità che impedisce che l’amore diventi etereo, una sorta di spray…”. “Tornare a Tolentino – dice padre Massimo – un ambiente più ristretto, mi ha fatto scoprire ancora di più la realtà della Chiesa come relazione. Ed in questa dimensione si apre uno spazio infinito, perché le relazioni basate su Cristo non hanno confini.” Anche nell’esito perché “dove vado non faccio programmi, pronto a vedere come la Provvidenza opera. Penso solo che il Signore mi ha permesso di dare spazio ad un ministero di accoglienza profonda delle persone. (Favorito anche dal ministero dell’esorcismo che il vescovo mi ha affidato 5 anni fa).

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Foto Mario Lambertucci

Un rapporto di fiducia, di paternità con le persone. Questo subito un po’ mi ha stordito perché pensavo fosse troppo e potesse portarmi fuori. La sicurezza mi è derivata dal vedere in me la pace e contemporaneamente vedere crescere una comunità intorno al Santuario, che viene per incontrarsi, per pregare, per ascoltare la Parola di Dio.” La provocazione sul destino delle persone incontrate che rischiano ora di restare orfane, fa capire ancora più esplicitamente che l’esperienza di una fede personale in padre Massimo non cade nel personalismo che accentra su di sé. “Avranno la stessa Chiesa, la stessa profondità dello Spirito che in questo momento ha suscitato me a fare questo servizio, e sentiranno su di loro la stessa paternità. Poi, in questo salto che mi viene chiesto, mi rivedo un po’ in sant’Agostino i suoi amici hanno sempre fatto quello che ha fatto lui. Quando lui viveva una prova, questa lo era anche per loro.” Come dire che il rapporto, la relazione con gli amici non diventerà pienamente vera  se non sarà in grado di affrontare il salto anche fisico del distacco che ora viene chiesto.

“È la stessa obbedienza che viene chiesta a me con il trasferimento. Subito costa, perché tocca le tue abitudini, il tuo modo di fare, però porta molto frutto, come è sempre stato nella mia vita. E lo porta anche agli amici. Dio chiede di sacrificare il figlio della promessa, Isacco. È un po’ così anche per me, con quanti incontrati. Ma anche per loro. E questo è un aspetto di verità. Altrimenti resterebbe una sequela romantica. Questo distacco fa male, ma deve essere così e non si può eliminare né far finta che non ci sia. Sappiamo però che è per un bene più grande.”

Ora a Milano. Nessun incarico particolare: “Vado con la certezza che Gesù già e presente nelle persone. Non devo inventarmi una Chiesa.  Chiedo al Signore, e per questo anche le preghiere di tutti, di non giudicare. Non essere giudicante delle cose e persone che incontrerò,  diverse rispetto a quelle già conosciute. Voglio andare con la libertà di accogliere le persone che incontrerò senza il peso dell’esperienza che comunque mi porto dentro. Cosciente anche di quanto già sant’Agostino diceva, cioè che la Chiesa innanzitutto evangelizza se stessa. Non mi sento di andare per dover cambiare le cose. Il Papa stesso, nella sua concretezza, parla sempre di attenzione al prossimo, di attenzione alla realtà in cui si vive, di curare i rapporti, di essere uomini giusti, di non sognare facili conquiste. E sta dicendo anche che nell’evangelizzazione occorre cambiare mentalità: condividere con chi si incontra la verità che ci possiede.”

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Foto Mario Lambertucci

“Parto con la fiducia che il Signore mi ha preceduto. E quindi con tutta la libertà che ne deriva.” Prima di salutarci una provocazione, guardando l’icona sulla parete dietro, una sua opera: cosa c’entra con gli studi giovanili di agraria? Una passione che nasce dall’amore verso la Chiesa orientale, conosciuta nel corso degli studi successivi alla Gregoriana.  Poi a Tolentino l’incontro con Sandra Carassai, profonda conoscitrice ed artista lei stessa; l’avvio di Corsi di iconografia –che ancora proseguono- e l’occasione di approfondire la tecnica e la realizzazione di numerose ed pregevoli opere. Il tempo che viene meno, con l’ammirazione per chi riesce a lavorarci: “Che bello che una persona possa stare un’ora, una giornata, davanti al volto di Cristo, della Madonna!”.

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