Aldo Moro entra a far parte della Fuci, Federazione Universitaria Cattolica Italiana, nel 1935 all’età di 19 anni, quando, insieme al fratello Alfredo Carlo, era studente di Giurisprudenza presso l’Università di Bari. La dimensione culturale, i valori della fraternità e dell’amicizia, l’apertura al moderno e la capacità di instaurare un profondo dialogo tra Chiesa e società, furono gli aspetti della Federazione, in quel tempo in grande difficoltà, sotto le pressioni del Fascismo, che colpirono maggiormente il giovane Aldo.

Stimolato da un ambiente vivace e dedito alla formazione personale, Moro svolse nella Federazione molti incarichi importanti nei vari Congressi Nazionali, fino a diventare nel 1939, grazie a don Franco Costa, presidente Nazionale. In una lettera ad un amico scriveva:« le mie tranquille abitudini di studente studioso sono state turbate dalle esigenze straordinarie che si sono venute determinando», per Aldo la Fuci rappresentò lo straordinario che entrò nella sua semplice vita e che la segnò per sempre.

Questa straordinarietà che lui, con il suo servizio e il suo esempio, rese più profonda, è ancora presente nei volti dei tanti fucini d’Italia che si trovano ad incrociare le loro vite, perseguendo un unico ideale, continuando a costruire giorno dopo giorno, quello che Moro, in quegli anni, aveva prima immaginato e poi realizzato. La Fuci per Moro era un serio lavoro di formazione e di apostolato nell’Università, ambiente immensamente ricco, in cui vige il principio della ricerca incessante della verità, organo in cui ognuno può spendere bene la sua vita cristiana e la sua vocazione sociale a farne dono prezioso per gli altri.

Anche oggi, come era per Moro, la Fuci vuole raccontare prima di tutto la vita “alla vita, che ci fu data perché fosse vita di verità, cristiana e umana”. Ieri, come oggi, il compito fucino è un compito che mi piace definire rivoluzionario, è difficile difendere un atteggiamento di amore cristiano, è difficile andare controcorrente in una società che sembra andare alla deriva,dove i valori scompaiono, le coscienze si nascondono e l’umanità va in frantumi. Anche Moro reinveniva queste difficoltà, ma era fiducioso, si affidava alla fede, alla bellezza della carità e del servizio e alle capacità dei giovani, al loro bisogno di spiritualità e di approfondimento “il senso pensoso e serio della vita”, diceva Moro nel discorso di presentazione delle attività fucine dell’anno 1938-1939.

Oggi la Fuci è ancora accompagnata dalla fiducia delle parole di Moro e in esse ogni giorno deve ritrovare lo slancio per ripartire e la forza critica per migliorarsi e crescere in modo rivoluzionamente fucino alla luce della fede,della vera verità, della condivisione e dell’incessante studiosa ricerca: «Quella che vorrei dire l’umanità della Fuci, il suo portare l’universitario a superare i limiti angusti della propria facoltà[…] per sentire l’ampio respiro della vita; la vita con la sua esigenza sociale, con la sua cristiana e umana comunione con tutti i fratelli[…] di prospettare la posizione di studenti oggi e di professionisti domani non come una comoda situazione di diritti che astragga da tutta la vita che si agita intorno a noi, ma invece come una situazione di dovere, un posto avanzato di combattimento, grave di responsabilità che vanno assunte con perfetta coscienza e preparazione e con spirito disposto al sacrificio. Tutto questo ci fa guardare tranquilli alla nostra Fuci».

Nausica Manzi

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