Pubblichiamo la versione integrale dell’intervista realizzata a don Mario Malloni, rettore del seminario diocesano missionario Redemptoris Mater, in occasione dei 25 anni dalla sua fondazione e apparsa sul quotidiano Avvenire martedì 18 ottobre (leggi le quattro pagine: Emmaus e Avvenire, settima uscita).


In occasione del 25° anniversario della fondazione del seminario diocesano per le missioni “Redemptoris Mater” abbiamo intervistato don Mario Malloni, storico rettore.

Il primo nucleo di seminaristi è sorto prima della realizzazione della struttura che vi ospita. Quando precisamente?
Il 6 ottobre 1991 sono arrivati a Macerata i primi dodici seminaristi; tre erano italiani, uno veniva dalla Spagna, uno da Singapore, due dalla Malesia e due dal Brasile. Eusebio e Giulietta, catechisti itineranti del Cammino Neocatecumenale, insieme all’allora vescovo Tarcisio Carboni distribuirono i ragazzi in diverse famiglie che si erano rese disponibili all’accoglienza. Per due anni e mezzo i seminaristi hanno condiviso la loro vita con la famiglia che li ospitava, dedicando la mattina allo studio. Nel gennaio del 1994 il gruppo si è trasferito stabilmente occupando una parte dell’ex seminario diocesano in via Cincinelli, ora Domus San Giuliano, dove siamo rimasti fino all’anno 2001. Nel frattempo il signore ci ha permesso di poter erigere la nuova struttura dedicata al seminario nella zona delle Vergini a Macerata.

La prima pietra fu benedetta da san Giovanni Paolo II…
Sì, il 19 giugno di quell’anno e fu una grande festa per tutta la Diocesi. Il 28 giugno del 1998 monsignor Luigi Conti ha celebrato la posa di questa prima pietra. Siamo riusciti a realizzare l’opera grazie al co-finanziamento giubilare che lo stato italiano aveva messo a disposizione per tutte le strutture che avrebbero accolto pellegrini a basso costo durante il Giubileo del 2000.

Come mai la scelta di creare una struttura ex-novo?
Ideatore artistico del seminario è Kiko Arguello, iniziatore del Cammino Neocatecumenale, mentre l’architetto Mattia del Prete ha realizzato il progetto. Il progetto ha come filo conduttore la bellezza, che non è lusso ma è legata all’amore ed è un’estetica che aiuta la formazione. La struttura del seminario vuole aiutare i giovani a formarsi realmente per una vita missionaria. Per esempio è molto luminoso, tantissime pareti sono in cristallo per poter vivere la natura all’esterno come se stesse dentro. Tutto è in funzione della vocazione missionaria. Questo serve anche a condurre una vita trasparente, nessuno ha la propria stanza chiusa a chiave, oppure una stanzetta nascosta ma tutto si vive in comunione. La vita dei seminaristi è all’insegna di una regola, un po’ monastica che si chiama “Soci” e che prevede che mai nessuno stia per conto suo ma abbiamo sempre un’aiuto nella preghiera, dello studio.

Qual è la giornata tipo di un seminarista?
Nel 2000 tutta l’attività è stata rivolta all’accoglienza dei pellegrini del Giubileo. In un anno abbiamo accolto 20.000 di 25 nazionalità diverse. L’anno dopo invece siamo diventati un vero seminario. La sveglia è alle 5.45, alle 6.15 preghiamo insieme le lodi in una sala chiamata “santuario della parola”. Poi si fa colazione e alle 7.30 con i nostri due pullman, mentre si recita il rosario, raggiungiamo l’istituto teologico marchigiano nella sede di Fermo. Tornati a casa si recita insieme l’ora media e si fa pranzo. Dalle 15.30 alle 18.30 c’è il tempo per lo studio e la formazione personale. Alle 18.30 l’eucarestia conclude la giornata, una celebrazione solitamente molto partecipata dove è possibile mettere in comunione con i fratelli le proprie riflessioni. Poi conclusa la cena alle 22 si va a dormire. Il giovedì non essendoci scuola permette ai seminaristi di recarsi il mercoledì sera nelle tante parrocchie dove viene celebrata la liturgia “della Parola”.

Quanti sono i seminaristi presenti attualmente nel seminario?
Ad oggi abbiamo 44 seminaristi, provenienti da 14 paesi diversi, 34 sono in seminario per il corso di teologia e 10 sono in missione con famiglie ed altri sacerdoti, spesso in Asia, Africa e Americhe. Per un seminarista la missione è un momento fondamentale della formazione; solitamente dura almeno due anni a volte però può variare in base alle esigenze dei giovani, perché la missione è un dono per loro non tanto loro per la missione. Una volta finita la formazione il vescovo li ordina e ne ha tutte le responsabilità, capita che dopo qualche anno di servizio in diocesi alcuni si rendono disponibili a partire per la missione a quel punto è il vescovo a decidere se inviarli oppure no. A volte si parte già dopo pochi anni, a volte giungono delle richieste al vescovo oppure può capitare che missionari itineranti appartenenti al Cammino chiedano al vescovo la disponibilità di un sacerdote per poter aprire nuove comunità neocatecumenali altrove. Poi la missione dura fino a quando il Signore lo permette.

Quanti i presbiteri già ordinati?
Abbiamo ordinato 74 presbiteri incardinati nella nostra Diocesi, e un’altra decina sono stati ordinati dai loro vescovi, e fra poco avremo altri due diaconi. Un terzo di loro è impegnato nella nostra diocesi, circa 25 prestano servizio in altre città, mentre alcuni sono insegnanti o formatori: quattro di loro sono rettori di altri seminari “Redemptoris Mater” in Italia, Irlanda e Zambia.

Fanno fatica o si inseriscono bene nelle diocesi dove prestano servizio?
Siamo contenti anche se di certo non mancano le difficoltà, ma nella Chiesa tutto si fa portando la croce, e le cose grandi passano sempre attraverso le prove e la sofferenza ma il signore sa come portare a buon fine tutto. Niente va sprecato. Le cose nuove hanno sempre bisogno di un tempo per manifestarsi ed essere comprese. Diceva il vescovo monsignor Nazzareno Marconi che i 25 anni di vita del seminario testimoniano che la comunità formativa è ormai profondamente inserita nella storia della Diocesi aggiungendo che anche per la curia è un dono e un compito ricevuto gratuitamente dal Signore. Un dono perché si ricevono portatori del Vangelo ma un compito perché questa messe così abbondante dev’essere distribuita con saggezza, magari in dono alle altre diocesi, appunto Fidei Donum.

Avete in programma delle iniziative per celebrare questo anniversario?
Qualcosa è già stata fatta. Abbiamo richiamato da tutto il mondo i presbiteri formati qui per una convivenza di 5 giorni sul lago di Garda, è stato come un raccontarsi gli eventi meravigliosi vissuti in questi anni. Gli ultimi due giorni ci ha raggiunto anche il Vescovo che ha presieduto una celebrazione molto sentita. Sempre il vescovo Marconi ha celebrato con noi, nella giornata del 6 ottobre l’Eucarestia in seminario e abbiamo ricevuto con gioia la lettera inviataci da papa Francesco. Credo che celebrare un anniversario come questo è utile per guardarsi indietro, ma anche per proiettarsi in avanti, senza paura, sempre sulle orme del gran de evangelizzatore Padre Matteo Ricci. Mi sento di invitare i giovani a non vivere una vita piatta senza senso, ma di cercare nel Signore il senso pieno della vita. Io ero un barista, e oggi sono un apostolo del Signore e il dono è così grande che vorrei che tutti ne fossero partecipi. Non c’è cosa più brutta che vivere senza una missione da compiere.


Leggi anche la testimonianza di don Emanuele Marconi: «La mia vocazione coltivata al “Redemptoris Mater”» 

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