«Volontariato oggi: quale impegno? Politico, sociale, spirituale, ecclesiale…». Da una domanda, con il convengo nazionale promosso dal Gruppo di Volontariato Vincenziano-Aic Italia nei giorni scorsi (dal 20 al 22 ottobre) a Loreto, è sorta la preziosa occasione per riflettere insieme sul valore di un termine che racchiude in sè ben più di un significato e che può declinarsi attraverso quattro ambiti di impegno.

Quattro contesti come le figure esperte chiamate, nella giornata del venerdì (Qui il link per rivedere il servizio trasmesso nel tg di Rai Marche), a suscitare negli oltre 300 partecipanti – tra religiosi e laici – ospitati nella città mariana interessanti spunti di dibattito capaci di generare risposte concrete attraverso i gruppi di lavoro svoltisi il sabato mattina. Per agevolare i laboratori, attaccati ai vari cartelloni distribuiti nell’ampio Palazzo Illirico, sede dell’evento, tanti post it su cui appuntare le proprie considerazioni da condividere e le idee utili da mettere a frutto.

Paola Agnani, presidente nazionale dei GVV (foto Vincenzo Varagona)
Paola Agnani, presidente nazionale dei GVV
(foto Vincenzo Varagona)

Dopo la tappa d’obbligo nella vicina Recanati, il giovedì pomeriggio, per ammirare i luoghi di leopardiana memoria, a fare gli onori di casa, con una stimolante prolusione, è stata la maceratese Paola Agnani, attuale presidente nazionale dei GVV (dopo aver ricoperto per diversi anni l’incarico a livello regionale), che, alla luce della Lettera Pastorale del vescovo di Macerata, Nazzareno Marconi, incentrata proprio sul tema della «Carità», ha ricordato ai convenuti che questo stesso vocabolo «non equivale all’elemosina, ma costituisce una risposta dal nostro essere cristiani». Agnani ha sottolineato poi «i tratti di una società occupata da mille faccende, incapace di legami e presa dal complesso dell’efficacia come alibi per non rischiare»: è qui, nei bisogni e nelle esigenze del quotidiano che si sperimenta «la compassione», vale a dire «l’essenza delle carità che ci rimanda a Colui che è innamorato dell’umanità». Cercando di comprendere ancor meglio il senso autentico delle parole «dignità e persona», cercando di capire «chi è Dio per noi oggi», la presidente ha inoltre precisato che «questo convegno non è stato pensato per tracciare linee da seguire, bensì per suscitare domande e verificare se questo percorso ci ha arricchiti interiormente, rendendoci consapevoli della nostra responsabilità di volontariato vincenziano che ancora oggi vuole accendere i cuori».

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(foto Vincenzo Varagona)

Cuori che battono e si prodigano all’unisono nonostante lo scorrere del tempo, come rammentato nel pomeriggio dalla vice presidente GVV per il Nord, Gabriella Raschi, che ha ripercorso la storia di un’esperienza fatta di «numeri che danno responsabilità, poichè la cura delle anime è compito anche dei laici», sgorgata da quel presbitero di origine francese, San Vincenzo de’ Paoli, «che ha organizzato la carità perchè fosse più efficiente». Fu lui, infatti, fondatore e ispiratore di numerose congregazioni religiose come la Congregazione della Missione, i cui membri sono comunemente denominati Lazzaristi, le Dame della Carità e, poco più tardi, anche le Figlie della Carità. Considerato il più importante riformatore della carità della Chiesa cattolica, Vincent de Paul, all’anagrafe, stato proclamato santo il 16 giugno 1737 da papa Clemente XII.

Come risaputo, i Gruppi di Volontariato Vincenziano hanno per scopo: la promozione umana e cristiana delle persone e delle famiglie in situazione di disagio; la lotta contro le povertà materiali e spirituali e le cause che le determinano; l’incontro personale con il fratello nel suo ambiente di vita senza alcuna discriminazione, con interventi immediati di aiuto quando la situazione lo richieda. Presenti diciassette regioni e articolati in sezioni regionali, provinciali (o diocesane) e cittadine, i GVV, per radicata mission, sono «protesi a riproporre nella vita personale e associativa il primato di Dio per essere capaci di quella forma “alta” di Carità che è la testimonianza della verità».

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Ad evidenziare ancor più profondamente la dimensione «spirituale ed ecclesiale» del carisma vincenziano è stato il primo dei quattro relatori, monsignor Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne, che ha aiutato la platea a misurarsi con la realtà attuale che ci circonda, per poter cogliere come il volontariato chiama a vivere comunitariamente una missione che è vera e propria risposta a una vocazione. Partendo dai cinque verbi che hanno “animato” il Convegno ecclesiale di Firenze 2015 e soffermandosi, in particolare, sull’«abitare», monsignor Valentinetti è stato chiaro: «Dobbiamo ritornare alla sorgente e mai dimenticare che il volontario ha una identificazione precisa. Cristiano vuol dire volontario, e molti ancora non riescono a fare il “salto” che ci consente di capire la vera dimensione del dono di sè agli altri». Di seguito, la dissertazione ispirata da due brani evangelici di rilievo: l’icona, ancora, del buon Samaritano e l’esemplificazione di Marta e Maria. Da qui, la focalizzazione di un altro punto fondante del servizio solidale: «L’orizzonte del volontariato cristiano – ha aggiunto l’arcivescovo – è escatologico, appartiene alle cose ultime, che vanno al di là di questa vita, e non delle penultime».

14724485_10154627012222389_5669190469674608237_nIn relazione a ciò, l’invito ad “uscire”, a farsi prossimi appunto, per «andare a vedere, proprio come fa il Samaritano, senza discriminazione, perchè sono davvero tanti i “malmenati” nel corpo e nello spirito in questa nostra società e nell’Anno della Misericordia siamo tutti chiamati a godere della compassione del Signore». Infine, riallacciandosi alle due figure femminili citate nel Vangelo, il presule ha sintetizzato l’identikit dell’essere volontario «che se è frenetico o ansimante, non è volontario» e che deve invece «essere capace di occuparsi e non di preoccuparsi, repirando la vita della Chiesa locale che ci fa camminare nella fede e riscoprendo la prossimità nello stare insieme perchè, come scritto da Benedetto XVI nella “Deus caritas est“, la carità non è delegabile».

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Monsignor Tommaso Valentinetti durante il suo intervento
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Il professor Penza, della Comunità di Sant’Egidio

Dalla sfera pastorale all’ambito civile, con la valenza dell’ambito sociale analizzata dal professor Giancarlo Penza, membro della Comunità di Sant’Egidio. Un volontariato che si pone attraverso la sussidiarietà a essere strumento di coesione e sviluppo collettivo è oggigiorno possibile? Sì, secondo l’esperto, a partire dalla presa di coscienza che «il volontariato è un fattore moderno» e che «la carità stessa ha sempre rinnovato la Chiesa, perchè si è sempre sentita l’esigenza di ripartire dai poveri». «San Vincenzo de’ Paoli – ha ricordato Penza, citando diversi autori – è stato di fatto il primo a gettare la religione in strada, e il volontariato nasce dall’idea di aver accolto una sfida dopo il Concilio Vaticano II, figlio di due avvenimenti: la connotazione del ruolo dei laici nella costruzione del Regno di Dio e la riserva escatologica che fa diffidare del potere politico».
Distinguendo poi l’ambito del cosiddetto Terzo Settore, il professore, che attualmente è uno dei responsabili dell’impegno di Sant’Egidio per gli anziani, non ha mancato di “guardare” allo stato dei fatti con lucida nitidezza, facendo cenno ai rischi della corruzione o ai dati poco incoraggianti («secondo l’Istat solo il 16% delle organizzazioni di volontariato utilizza il volontariato per intero»). Su tutto, però, non deve mai venir meno il fine principale che muove questo servizio: «Il volontariato è o, al contrario, non è se non sente come primario questo desiderio di trascendenza, che ci spinge a rendere il mondo migliore di come è. Si tratta di un bene insito in noi, che non si può nè vendere, nè mercanteggiare». Al contempo, è stato rimarcato il fatto che, in questa epoca in cui la «mobilità, per ragioni di lavoro o turistiche» si è resa protagonista e «si è persa la dimensione della gratuità», mentre il volontariato deve necessariamente confrontarsi con gli effetti della «globalizzazione» e dell’«evoluzione del mondo digitale», «sarebbe importante riprendere l’intelligente esercizio dell’ascolto» e in questa «social solitudine», in cui quasi «si reclama l’arte della conversazione, ci sentiamo tutti soli e dobbiamo ricostruire un vero “noi”, consci che i legami non sono una costrizione, bensì la fonte della nostra libertà».

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E sul terzo aspetto propriamente filosofico, orientato alla «relazione con l’altro», si è cimentata la giovane professoressa Fabiola Falappa, docente a contratto di Ermeneutica filosofica presso l’Università degli Studi di Macerata, dove ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Filosofia e Scienze Umane. Memore di quanto asseriva il fondatore dei Vincenziani, e cioè che «la carità è superiore a tutte le regole», la relatrice ha fornito ai partecipanti al convegno diverse tracce riflessive, toccando valori complessi e urgenti: la capacità della fiducia, «la paura di spendersi che spesso spegne il desiderio, il quale, invece ci ricorda dov’è davvero il nostro cuore, che propende alla costruzione del bene comune», la capacità più o meno evidenziata «di saper rispondere agli eventi della vita». Quindi, la «responsabilità», che è «complementare alla solidarietà», quale «giusta risposta generata dal riconoscimento di un valore che, come vale per la vostra vocazione al volontariato, sapete riconoscere non in concetti astratti, ma nelle persone che si rivolgono a voi». Nello specifico, per i GVV, ha indicato Falappa, «la responsabilità è sia necessariamente personale, sia d’équipe, ma anche comunitaria, e migliorare il mio apporto affinché ci sia un vero gioco di squadra è un impegno che avrà benefiche ricadute anche su di me». Poi, richiamando alla memoria la figura della giovane ebrea Etty Hillesum, la docente ha spiegato come «responsabilità e solidarietà non sono parole lontane» ma «significati che viviamo già ogni giorno senza che ci sia qualcuno che ce li rispecchia e con cui li condividiamo». «La solidarietà vissuta – ha concluso – è come un vento che rinnova le esistenze e vi introduce una luce di speranza grazie a cui si comincia a vedere che nulla di veramente umano è impossibile in ogni spazio della vita».

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A chiudere sul fronte civico la carrellata di interventi, ciascuno in grado di suscitare nei convegnisti un acceso dibattito, è stato il professor Giovanni Morosociologo politico e delle organizzazioni, nonchè presidente di Fondaca. L’intento, quello di delineare la complessità del contesto non profit e le potenzialità “politiche” di un volontariato che si pone come coscienza critica in una società portata, sempre più, all’esclusioneDa una serie di slide più che pertinente, si è sviluppato un discorso articolato riferito non solo alla strutturazione generale della politica attuale, ma anche alle «criticità del volontariato stesso» e all’utilizzo di determinati linguaggi e immagini nella stampa, perchè si dà il caso che «non esistono risposte definite capaci di risolvere i problemi: il volontariato, di certo, è una parola su cui dovremmo saper ridiscutere…». Con aneddoti sul mondo circostante, con rimandi alle problematiche più diffuse (vedi, ad esempio, la disabilità e le sue “barriere”), Moro ha chiuso il suo intervento con la spiccata schiettezza che lo contraddistingue, lasciando ai presenti sane provocazioni. «Una cultura come quella di cui siamo intrisi – ha affermato -, incentrata sull’individualismo spiccato non crea certo indipendenza. E se mi si chiede quali tratti dovrebbe possedere ed esternare un bravo politico non avrei dubbi: il senso della realtà, il senso del limite e la capacità di pensare avanti di vent’anni». Perchè «la politica significa dare forma alla società», esattamente come fanno, da volontari, le «Dame di San Vincenzo» e quanti, silenziosamente, operano senza tornaconto e con altruismo genuino a favore del prossimo.

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