Non è facile descrivere la situazione che si sta vivendo in questi giorni a causa dei terremoti che hanno modificato i territori del centro Italia. Dalle ore 3,36 del mattino di mercoledì 24 agosto è stata una successione continua di sussulti che ha causato centinaia di vittime, sfollati, dolore, disperazione e pianto per quel sentimento di impotenza verso incontrollabili forze della natura. Decine di migliaia di persone sparse in ben 4 regioni d’Italia vengono ancora quotidianamente flagellate.

Molte chiese, cappellanie, santuari e basiliche sono state irrimediabilmente sfregiate, atterrate come semplici castelli di carta e con esse i tesori custoditi dalle loro mura millenarie. Il rumore del frastuono delle macerie ha sovrastato irrimediabilmente il suono unico di molti storici organi a canne obbligando al silenzio. Nella nostra diocesi così ricca di organi a canne di grande pregio storico, realizzati da artigiani organari come Callido, Morettini, Fedeli, Catarinozzi solo per citare i nomi dei più illustri, si contano diversi danni agli strumenti musicali: le scosse telluriche hanno causato la caduta di stucchi, pezzi di cornici che hanno sfondato le casse degli organi causando il danneggiamento se non la distruzione. Uno dei casi più eclatanti è quello dell’organo Morettini della Chiesa San Francesco di Falerone (FM) inaugurato quattro giorni prima del terremoto di Amatrice e rimasto totalmente distrutto dal crollo della cornice della volta a botte.

Senza chiese, senza organi. Ma il canto non è stato zittito, un canto che dà coraggio, forza, incita a ripartire. Molti cori liturgici si sono ritrovati senza più un luogo dove poter provare ed a volte senza neanche più sussidi e partiture; ed allora la sala prove diventa qualsiasi luogo, così come la cattedrale può venir sostituita da un giardino pubblico o da un tendone da mensa di campo.Il canto a cappella, cioè senza accompagnamento strumentale, diventa la soluzione a tutte le emergenze musicali. Dalle nostre chiese ancora aperte e da quelle improvvisate sale un canto non piagnucoloso o lamentoso, bensì un canto forte di speranza che chiede a Dio di avere la forza per tornare alla normalità, per ritornare a vivere la bellezza dei nostri luoghi, dei nostri tesori artistici. Il canto della comunità cristiana che prega e spera che la Divina Provvidenza non venga mai meno. Da una terra fessurata e sussultante come la nostra che ha la possibilità di godere della bellezza dei monti Sibillini, monti che si sono rivelati insensibili al nostro grido di avere tregua dai movimenti tettonici, salirà sempre a Dio il nostro canto di lode. Terra di Santi e di Beati, terra che ha accolto sul colle lauretano la “Casa del Sì” di Maria, terra del canto in vernacolo della Passione di Gesù, del canto “a vatoccu” e del saltarello. Ai tempi del terremoto il nostro canto non sarà mai muto.

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