Adesso l’appuntamento con il referendum costituzionale è davvero imminente. Ma a prendere sul serio i sondaggi, il numero degli indecisi è così elevato che nella manciata di giorni che ci separano dal voto del 4 dicembre c’è ancora uno spazio molto ampio per l’approfondimento. Anche ora, quindi, suonano attuali le parole del cardinale Angelo Bagnasco al Consiglio permanente della Cei dello scorso 26 settembre: «Il nostro invito è d’informarsi personalmente, al fine di avere chiari tutti gli elementi di giudizio circa la posta in gioco e le sue durature conseguenze».

Un appello rilanciato nei giorni scorsi dal segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino. «Come Chiesa italiana non ci piace una politica che sia fatta solo di rivalse, interessi di bottega e realtà poco partecipate», ha detto in un’intervista a Tg2000, e la partecipazione esige l’impegno a informarsi «per arrivare al voto con la testa ben messa e non di pancia».

Il segretario della Cei ha anche sottolineato di non scandalizzarsi per le «posizioni diversificate» emerse nel mondo cattolico, «soprattutto se queste opinioni sono frutto di considerazioni prese in maniera consapevole, non per interessi di parte, ma frutto di un dibattito e di una dialettica». Tra le aggregazione laicali cattoliche, in effetti, le posizioni sono variamente articolate e questo non solo per il giudizio di merito sulla riforma sottoposta a referendum, ma anche per la natura di ciascuna organizzazione. Al di là della varietà degli esiti, comunque, queste realtà si sono rivelate ancora una volta un luogo importante di approfondimento e di confronto, tanto più prezioso se si pensa alla radicalizzazione della campagna referendaria.

Un No di «autentici riformisti e riformatori» è quello espresso dal Movimento cristiano lavoratori. «I difetti della riforma – scrive in un editoriale sulla rivista Traguardi sociali il presidente, Carlo Costalli – sono almeno tre: non semplifica il funzionamento delle istituzioni e non aumenta la governabilità, anzi li deteriora; annienta l’autonomia regionale e ripropone il centralismo statalista; il combinato disposto della riforma costituzionale e della nuova legge elettorale provoca effetti distorsivi su tutto il sistema istituzionale, creando le condizioni per lo strapotere senza contrappesi di chi magari al primo turno ha preso poco più di un quarto dei voti».

Le Acli hanno preso posizione per il Sì perché «nel complesso la riforma sembra garantire istituzioni più efficienti e adeguate, indispensabili per il rilancio del nostro Paese». «Stabilità politica, governi e organi di rappresentanza più funzionali, procedure legislative meno complesse e tempi di decisione più ristretti, superamento della conflitttualità tra Stato centrale, regioni ed enti locali»: questi sono gli obiettivi della riforma secondo il documento approvato dalla presidenza nazionale, che vede in essa «un tentativo di risposta a un percorso iniziato nel lontano 1948» e richiama l’importanza di adeguare le istituzioni perché «senza un’adeguata manutenzione istituzionale la politica si trasforma in antipolitica».

Ha scelto il Sì anche la Coldiretti, il cui presidente Roberto Moncalvo già a fine maggio affermava che la riforma «semplifica i processi decisionali e il fattore tempo è fondamentale per qualsiasi impresa voglia stare sul territorio». «Diciamo un Sì convinto – è la sottolineatura di Moncalvo – perché attraverso la riforma possiamo costruire un futuro positivo per la nostra Italia».

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Comunione e liberazione propone nel suo documento una riflessione critica su due posizioni antitetiche che vanno respinte: «Da un lato, una sterile indifferenza e un cinico disimpegno; dall’altro, la logica dello schieramento a priori che impedisce un reale confronto con l’altro e le sue ragioni». «Ancora prima dei giudizi di merito sulle soluzioni adottate dalla riforma soggetta a referendum (che meritano attenti approfondimenti), nessuno può ignorare – osserva il documento di Cl – la vera urgenza del momento: la necessità che si è fatta strada negli ultimi anni, di una maggiore stabilità ed efficienza del sistema politico a favore di migliori condizioni di vita per ogni cittadino e per il Paese, in vista dell’obiettivo fondamentale di sempre, vale a dire la promozione del bene comune».

L’Agesci, tirata in ballo da un articolo agostano che arruolava l’associazione nel fronte del Sì, ha fatto sapere che non intende assumere posizioni ufficiali. C’è naturalmente un impegno formativo, come dimostra un recente numero di Proposta educativa, la rivista per gli educatori dell’Agesci, dedicato in gran parte al tema della partecipazione e che contiene un approfondimento specifico sul referendum, integrato da materiali sul sito.

Sulla formazione delle coscienze punta l’Azione cattolica, come ha spiegato il presidente nazionale Matteo Truffelli in un ampio articolo disponibile sul sito dell’associazione.

«Il compito cui si sente chiamata l’Azione Cattolica italiana in questo momento – scrive Truffelli – non è quello di “prendere posizione” pro o contro la riforma costituzionale, accontentandosi così di “occupare spazi”. Perché le persone hanno più che mai bisogno, oggi, di essere aiutate a sviluppare una propria coscienza critica, sia individualmente che in maniera condivisa. Un compito che una realtà come la nostra associazione può assolvere, sia a livello nazionale che diocesano, offrendo spunti di riflessione ed elementi di giudizio, attivando e alimentando occasioni di approfondimento e di confronto, attraverso le quali mettere a punto insieme criteri di discernimento», iniziative che l’Aci ha iniziato già nel giugno del 2015. Truffelli conclude affermando che «né l’approvazione né la bocciatura della riforma proposta dovranno impedire il rilancio di un processo di rigenerazione della nostra democrazia che appare ogni giorno più urgente».

Stefano De Martis

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