I Cantastorie di Passo di Treia tornano a colpire a suon di stornelli. Protagonisti ormai da alcuni anni delle manifestazioni regionali, hanno la capacità di far riscoprire anche i giovani la tradizione maceratese o, più in generale, marchigiana. Presenti durante le festività tra gli anziani delle case di riposo, tra i loro pregi l’attenzione ai mezzi di comunicazione, calcando con successo di visite anche il “palcoscenico” di YouTube. L’account gestito da Luciano Carletti (che, insieme a Andrea Biondi, Ferdinando Stacchiotti e Nicola Orazi forma il gruppo) con il sostegno tecnico di Carlo Bartolozzi, Giorgio Clementi e Genesio Medori ha da pochi giorni pubblicato (e musicato) la poesia dialettale “Le Marche”. Si tratta di un duplice omaggio: il primo, all’autore fermano Antonio Angelelli (conosciuto come ‘Ntunì de Tavarro’), che proprio nel 2016 avrebbe compiuto cento anni; e l’altro, certamente non secondario, a una regione ferita profondamente dal terremoto (leggi qui l’articolo sulla Giornata delle Marche).

«Il video è nato con la collaborazione di Samuele Fraticelli e Lorenzo Cantori del gruppo “Li svortarecchie. L’intenzione è quella di portare un po’ di sollievo alle persone colpite dal sisma – conferma Carletti – e questa poesia sembrava davvero adatta a tutti noi». “Le Marche”, infatti, raccontano di una terra che «è sempre la più bella sulla scena», dove «se trascorre una vita serena» e che è abitata da «jente vòna». Un auspicio, dunque, a ritornare presto a dar concretezza a questi versi e riporre nel cassetto dei ricordi paure e sconforto in vista del Natale: «E la natura – scrive ancora Angelli -, che da quella pure parecchi doni scimo ricevuto: li munti, le culline, le pianure, le coste battizzate de villuto».

«Dedichiamo questa poesia alle persone colpite dal sisma»

angelelli

Antonio Angelelli
Il poeta Antonio Angelelli

Se nel Maceratese sono molteplici le iniziative per ricordare il prof. Dante Cecchi (leggi qui l’articolo) anche per la sua produzione di commedie dialettali, grazie all’impegno della Compagnia “Fabiano Valenti” (leggi qui l’articolo sulla stagione teatrale del Comune di Treia), nel Fermano in pochi non hanno mai sentito nominare ’Ntunì de Tavarró. Il poeta nacque a Montegiorgio il 16 gennaio 1916, cominciò a scrivere poesie durante la guerra, mettendo in rima la nostalgia di casa durante la campagna d’Albania. Un sentimento che contraddistinse la sua produzione dialettale nella promozione dei gruppi folcloristici locali e, soprattutto, della kermesse “Montejorgio cacionà” (1967).

Foto tratta da "La Voce delle Marche"
Foto tratta da “La Voce delle Marche”

La sua opera giunse persino all’orecchio del grande pubblico, quando nel marzo del 1972 prese parte allo storico programma, allora radiofonico, “La Corrida”, condotta da Corrado Mantoni, con la poesia umoristica “Lu varbiere”, vincendo il primo premio di 20 gettoni d’oro. Tuttavia, la morte gli sopraggiunse pochi mesi dopo, il 13 settembre 1972, consentendo ad Angelelli di lasciare come prezioso testamento per i posteri le sue liriche. Il figlio Lino lo ha ricordato quest’anno in un numero dei “Quaderni Montegiorgesi” tra le cui pagine ripercorre le fasi della vita del padre, ricca di vicende e aneddoti di una società quasi completamente scomparsa, ma della quale il nostro animo non riesce a fare a meno per risollevarsi.

Le Marche
È sempre le più belle su la scena;
c’è tanta pace e carma in ogni zona,
ce se trascorre la vita serena,
ch’è popolate da la jente vòna.

Chiunque c’è vinuti l’ha capito
e la gran pròa ce fu tant’anni arrèto,
che ce vòsse onorà e ci-à preferito
perfino la Madonna de Loreto.

Per quest’onore cuscì meretato,
pure la sorte ci ha dato un compenzo;
vasta sulo a penzà che ci-à assegnato
lu mejo postu probbio su lo menzo.

E la natura, che da quella pure
parecchi doni scimo ricevuto:
li munti, le culline, le pianure,
le coste battizzate de villuto.

E la riconoscenza è doverosa,
per nu’ quistu recordu sarà eternu
per via che tutti ci-à dato ‘checcósa,
lo meno sarrà statu lu governu.

Ce crede ricchi sinza avé’ niente;
saprà che unu de ‘n atru paese
dev’èsse per lo meno un possidente,
per poté’ avé’ lu nome de marchese.

Li marchigiani ce se tròa contenti,
ci-à pure un’importanza nazionale:
tutte le cose fino ai documenti,
se je manca le “marche”, manco vale.

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