C’è una “guerra” in Italia che non è stata dichiarata da nessuno a nessun’altro, ma che causa ogni anno un numero impressionante di vittime: è la guerra che si combatte sulle nostre strade, dove quotidianamente avvengono centinaia di incidenti con vittime e feriti, e i cui esiti sono sistematicamente sottovalutati a livello collettivo. Secondo i dati Istat dell’anno 2015 (ultimi disponibili), gli incidenti sono stati 174.539 e l’esito sulle persone è stato di 246.920 feriti e ben 3.149 morti (16mila le persone con lesioni gravi e permanenti).

Auto, pericoli e prudenza. Risalendo a ritroso negli anni precedenti si riscontrano numeri simili, con scostamenti statistici modesti (un + o – tra il 2 e il 3 per cento). Cosa provoca un numero così alto di incidenti, tra l’altro con andamento percentuale costante nel lungo periodo? E, domanda chiave, si può fare qualcosa per diminuirli? A livello di opinione pubblica, come primo dato, sembra non ci sia la percezione della pericolosità del mettersi sulle strade in auto, moto o anche a piedi. Basti pensare che dei quasi 10 morti medi di ogni giorno, 4 si stavano spostando in città, 5 erano su strade extra-urbane e 1 in autostrada. È curioso che là dove si può correre di più, le autostrade appunto, ci siano molte meno vittime rispetto alle strade cittadine dove la velocità non può superare i 50 all’ora (e oggi capita sempre più spesso di trovare limiti di 30 km/ora).

Cellulare e autisti distratti. Un secondo aspetto che emerge dai rilievi delle forze dell’ordine è che, molto spesso, gli incidenti sono provocati da distrazioni, velocità eccessiva, assunzione di droghe e alcool, imprudenze varie e – purtroppo – dall’uso dello smartphone da parte di chi è alla guida. Sarà capitato a tutti di incrociare una vettura o addirittura un bus o un camion dove l’autista con una mano teneva il volante e con l’altra “smanettava” sul proprio cellulare: telefonate, sms, e-mail, chat su Facebook o su WhatsApp e analoghi. Le persone non riescono quasi più a disconnettersi e così capita di sentire l’esigenza di rispondere o “chattare”, appunto, anche mentre si guida, con risultati tragici: bastano 2-3 secondi con gli occhi distratti dalla strada e posati sul telefonino per investire un pedone, centrare una motocicletta o sbattere su un’altra vettura.

Legge sull’omicidio stradale. Lo conferma la scomposizione delle vittime e la dinamica degli incidenti: rispetto ai circa 3.200 morti medi di ogni anno, la metà sono automobilisti (cioè coinvolti dentro le auto), ma l’altra metà è costituita da pedoni (tra i 600 e i 700), motociclisti (650), ciclisti (250) e ciclomotoristi (100). Le categorie più “deboli” di chi si sposta a piedi o su una due-ruote hanno visto aumentare negli ultimi due decenni il numero delle vittime, inducendo – ad esempio – le neonate associazioni di genitori che hanno avuto figli uccisi da «pirati della strada» a invocare un irrigidimento delle norme e a comminare punizioni esemplari. Da questa sollevazione dell’opinione pubblica è uscita la legge sull’omicidio stradale che è entrata in vigore nella primavera dell’anno 2016. La filosofia della nuova legge è stata quella di tramutare l’accusa di «omicidio colposo» in un nuovo e specifico reato: appunto quello, appunto, di «omicidio stradale», prevedendo pene più pesanti (fino a 18 anni di carcere in caso di più morti con fuga del conducente e mancato soccorso delle vittime o di guida in stato di ebbrezza o da drogati). Si sperava che con questa nuova normativa così punitiva gli incidenti diminuissero drasticamente. E invece, purtroppo, nelle prime rilevazioni parziali (i sei mesi da marzo a novembre 2016) il trend delle vittime non si è affatto invertito, registrando soltanto un lieve calo nella misura massima del 3-4 per cento.

Campagna di sensibilizzazione. Prova ne sia che con la nuova legge non è cambiato granché, è anche la campagna lanciata dal Governo sui principali media dove si fanno “parlare” alcune di queste migliaia di vittime (bambini non legati ai seggiolini da parte dei genitori, ragazzi che guidavano chattando al telefono, autisti assonnati alla guida da troppe ore…). Un aiuto dalla tecnologia. Una speranza fa però capolino grazie alle tecnologie: i nuovi modelli di auto che vengono presentati ai saloni internazionali presentano delle dotazioni e caratteristiche di una crescente ricerca della sicurezza. Dispongono di telecamere anteriori e posteriori, che “avvertono” quando si va troppo vicini all’auto che ci precede e addirittura frenano da sole se la velocità è elevata. Ci sono già vetture dotate di computer di bordo in grado di segnalare ingorghi, blocchi stradali e di “vedere” in anticipo pericoli che il conducente potrebbe rilevare troppo tardi. C’è anche una nuova tecnologia in grado di “disattivare” il cellulare dell’autista finché la vettura è in movimento. Insomma, mettendo insieme una crescente consapevolezza della pericolosità della strada e dei rischi della velocità, con la prospettiva di un’auto sempre più capace di schivare i pericoli (obiettivo finale sarà l’«auto che si guida da sola», prevista entro 4/5 anni!), forse riusciremo nel tempo a diminuire le vittime della strada.

Luigi Crimella

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