Le parole del Papa contro il bullismo sono destinate a lasciare il segno. Agli ottantamila cresimandi che gremivano lo stadio milanese di San Siro, sabato scorso, Francesco ha chiesto un minuto di silenzio per riflettere su questo fenomeno, divenuto una vera e propria piaga nel mondo dei giovanissimi e persino dei bambini. Ma ha anche chiesto loro di promettere di non compiere mai atti di bullismo e di «mai permettere» che siano compiuti nei loro contesti di vita, cominciando dalla scuola. E’ su quest’ultimo aspetto – l’invito forte a un impegno attivo contro il bullismo – che vuole soffermarsi Daniele Manni, il docente di informatica che è l’ispiratore di «MaBasta», l’iniziativa nata oltre un anno fa tra gli studenti dell’istituto Galilei-Costa di Lecce. «E’ particolarmente importante – spiega – perché nel fenomeno del bullismo una parte molto rilevante è quella degli spettatori, di coloro che non solo guardano e non intervengono, ma diventano anche amplificatori. Ed è importante soprattutto perché, se c’è una speranza di fermare questa piaga, essa sta nella mobilitazione dal basso degli stessi ragazzi. Vedendo quel che sta accadendo con MaBasta le confesso che sto cominciando a sperare in un cambiamento».

MaBasta è un acronimo che sta per Movimento Anti Bullismo Animato da STudenti Adolescenti, ma che rappresenta anche un grido di ribellione contro le violenze e i soprusi. Nel loro sito, gli studenti raccontano con molta semplicità ed efficacia la nascita del movimento. «L’idea – scrivono – ci è venuta quando a gennaio 2016 abbiamo parlato in classe del caso della ragazza di Pordenone che ha tentato di farla finita perché non ce la faceva più a sopportare le azioni di bullismo da parte dei compagni. Siccome il nostro prof di informatica ci diceva sempre che è molto meglio “fare” qualcosa anziché semplicemente parlarne, allora ci siamo chiesti cosa potessimo fare di concreto per almeno tentare di frenare questo bruttissimo fenomeno». Di qui la decisione di creare «una specie di associazione di giovani e giovanissimi che, come noi, vogliono fermare il bullismo, per dimostrare alle bulle e ai bulli che quelli contrari sono molto più numerosi». Pordenone e Lecce sono proprio ai due capi della penisola, ma gli studenti del Galilei-Costa si sono riconosciuti in in una situazione che non conosce confini e da cui nessuno può sentirsi immune. La loro mobilitazione ha trovato spazi larghi in cui diffondersi.

L’idea? Quella di creare «una specie di associazione di giovani e giovanissimi che, come noi, vogliono fermare il bullismo, per dimostrare alle bulle e ai bulli che quelli contrari sono molto più numerosi», affermano i ragazzi che hanno dato vita al movimento

«Sono state nel complesso circa 500 le scuole che si sono messe in contatto con MaBasta, ma il dato che a me pare più significativo – sottolinea Manni – è quello dei 200 istituti in cui sono stati gli studenti a cercare i loro coetanei di Lecce». La pagina Facebook ha raccolto 34mila Mi Piace, il video che supporta la campagna per le “classi debullizzate” ha superato ampiamente il milione di visualizzazioni. La mobilitazione si diffonde così, dal basso, gradualmente, anche se un ruolo importante lo hanno avuto i media. Chi ha visto in tv il festival di Sanremo si ricorderà i ragazzi di MaBasta con le loro felpe rosse sul palco dell’Ariston.

Contro il bullismo i verbi-chiave sono «responsabilizzarsi» e «unirsi». «Quando i ragazzi di MaBasta vanno a parlare ai loro coetanei delle scuole – racconta il docente – quello che propongono è di organizzarsi in un “contro-branco”. Se ci si espone da soli, si rischia di diventare l’ennesima vittima dei bulli, ma quando tutta una classe si muove e li isola, allora le cose possono cambiare». I ragazzi stanno portando avanti una sperimentazione (in seguito a un bando del dipartimento per le pari opportunità) in tre classi delle scuole del circondario. «I primi segnali sono positivi – riferisce Manni – il fatto stesso che ci siano degli alunni che alzano la mano per chiedere di diventare ‘bulliziotti’ o ‘bulliziotte’ è un elemento forte». Oltre ai «bulliziotti», studenti punti di riferimento contro il bullismo, un’altra idea che sta piacendo è quella della «bullibox», una scatola in ogni scuola a cui poter affidare anche in forma anonima segnalazioni di casi o episodi da approfondire.

Se gli studenti si mobilitano, Manni parla con amarezza del bullismo anche come conseguenza del «fallimento degli adulti». Se il fenomeno «è molto forte nelle elementari e nelle medie – osserva – proprio non riesco a dare la colpa ai ragazzi». Nelle famiglie il terreno di coltura del bullismo è la mancanza di dialogo. «Ai genitori ripeto sempre di investire ogni energia nel cercare di dialogare con i figli. Non si tratta di fare gli amici, il rapporto è genitoriale – puntualizza il docente, con trent’anni di esperienza di educatore sulle spalle – ma i nostri figli hanno bisogno di sentire al loro fianco un adulto con cui confidarsi».

Stefano De Martis

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