Proponiamo in simultanea due contributi di persone espressione del nostro territorio che riflettono sulle prospettive della politica nazionale dopo il referendum del 4 dicembre 2016. Le riflessioni nascono da appartenenze e punti di vista diversi, ma si mantengono nell’alveo della discussione pacata e del confronto civile. L’intervento di Mario Lattanzi è accessibile a questo indirizzo.

«Non tutti possiamo essere pittori, non tutti possiamo essere scrittori, non tutti possiamo essere musicisti, ma tutti siamo politici». Così scriveva Tommaso Sorgi, uno tra i primi parlamentari della nostra giovane Repubblica.
È un’affermazione sacrosanta, perché politici non sono soltanto i parlamentari o gli amministratori degli Enti locali, ma tutti coloro che, a qualunque titolo, operano per il bene comune e che, col loro voto, possono orientare la vita dello Stato. Politico sarà allora anche chi si impegna per tenere pulita una fontana o un piccolo spazio verde pubblico vicino casa, o si dedica al buon funzionamento della scuola frequentata da figli e nipoti. Politici sono poi quelli che propongono patti di collaborazione con gli amministratori o i governanti. Lo sono anche coloro che allestiscono laboratori per studiare problemi e offrire possibili soluzioni a partire dalle loro città. E l’elenco potrebbe continuare.

Mai come in questo momento, caratterizzato da grande confusione, è necessario riscoprire questa funzione importante che ognuno di noi, magari senza rendersene conto, svolge per restituire alla politica il suo significato più nobile come funzione primaria per la ricerca del bene.

Nei giorni scorsi ho letto su un settimanale che «bisogna tagliare le poltrone perché sono troppe». In un quotidiano ho trovato un’intervista nella quale si propone, in vista di un possibile futuro governo, un’alleanza con il Movimento 5 Stelle.

Fermo restando che rispetto tutte le opinioni, anche quando queste sono in antitesi col mio modo di vedere, ho fatto ricorso alla memoria per cercare di analizzare razionalmente queste affermazioni.

Il taglio delle poltrone (abolizione del Cnel, riduzione del numero dei parlamentari, una diversa configurazione del Senato con minori oneri per lo Stato) era uno degli obiettivi che si proponeva la Riforma costituzionale sottoposta a Referendum lo scorso dicembre. Basta però rileggere qualche pagina di quello stesso settimanale per vedere come chi oggi dice “basta” a troppe poltrone, fino al 4 dicembre è stato uno dei più accaniti sostenitori dell’annullamento della Riforma.

Riguardo alle nuove possibili intese, mi stupisce che chi oggi le propone, qualche mese fa sostenesse una sostanziale modifica della legge elettorale, nota come italicum, proprio per scongiurare una eventualità simile.

Oggi non abbiamo una legge elettorale, o meglio ne abbiamo due, una per il Senato e una per la Camera, che sono il frutto di operazioni chirurgiche operate dalla Corte Costituzionale. Queste riportano al proporzionale puro e quindi a una quasi certezza di ingovernabilità, determinata dalla frammentazione dei partiti politici e dalla nascita di quelli che vengono comunemente definiti come “cespugli”.

C’era chi diceva:«Votiamo No e in tre mesi avremo una nuova Costituzione e una nuova legge elettorale», ma siamo già al quarto mese.

Tralasciamo la prima, cioè la Riforma costituzionale, perché evocarla oggi è pura demagogia. Di una legge elettorale c’è fortemente bisogno, solo che ogni giorno che passa vediamo sempre di più che non si approderà a nulla perché al Senato non c’è una maggioranza stabile e i partiti non si impegnano a studiare una proposta che serva per la governabilità e per il bene dei cittadini; semmai pensano di ottenere da essa il massimo vantaggio alle urne. Prima ancora, però, c’è bisogno di una seria legge di riforma dei partiti che, impedendo la frammentazione e la conseguente ingovernabilità, scoraggi la possibilità di alleanze tra soggetti alternativi, studiate al solo fine di danneggiare il “nemico”.

Potremmo parlare anche di quello che si scrive oggi circa i costi e l’inutilità del Cnel e di quello che si è scritto prima per impedirne l’abolizione, ma sarebbe solo un inutile esercizio di retorica.

È sostanziale invece riscoprire l’importanza di essere tutti politici e trovare gli strumenti e le occasioni perché la politica torni a riacquistare il suo significato di funzione primaria per la ricerca del bene.

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