Istituto Toniolo ed Università Cattolica elaborano da qualche anno il Rapporto giovani, una indagine sulla situazione giovanile che aiuta notevolmente ad uscire dagli stereotipi di una opinione pubblica creata più da certe immagini proposte dai media o dalla pigrizia di ripetere frasi fatte, che da una vera attenzione alla realtà giovanile. «I giovani sono pigri», «sono presuntuosi», «non si adattano ai lavori manuali», «vorrebbero il posto fisso sotto casa»… Queste affermazioni, tanto diffuse quanto inesatte, sono smentite dai dati dell’indagine 2017.

I giovani italiani tra i 18 ed i 32 anni dimostrano una volontà di impegno e riscatto e non si lasciano impaurire dal rischio reale di impoverimento materiale, di frustrazione psicologica e di disagio sociale. I nuovi italiani hanno voglia di nuovo e sono disposti ad impegnarsi nella ricerca del lavoro e nella crescita formativa anche più della generazione dei loro genitori, dicono gli analisti dell’Istituto Toniolo. Non sono dei giovani sfiduciati rispetto alla scuola: oltre tre quarti del campione complessivo concorda nel sostenere che l’istruzione scolastica serve in primo luogo ad attrezzare la persona, accrescendone le abilità e le conoscenze (80,5%), promuovendo la capacità di ragionamento (75,9%) e di stare con gli altri (75,3%).

Il loro impegno nella vita è concreto: non sono “giovani-divano”. Il 31% di quelli con licenza media o titolo inferiore e il 31,6% dei qualificati ha dichiarato di aver svolto volontariato; la percentuale sale al 41,4% tra coloro che hanno concluso gli studi con il diploma di scuola superiore e al 51,7% nei laureati. Il percorso formativo dei giovani aumenta quindi la coscienza civile e la loro sensibilità ai bisogni degli altri. Questa crescita tocca anche la partecipazione ad attività di pressione pubblica (petizioni, raccolte firme, manifestazioni di piazza, campagne di sensibilizzazione sui social network, ecc…): il 61 % degli intervistati con la laurea ha dichiarato di avervi preso parte, contro il 49,7% di quelli con licenza media o inferiore. I numeri sono un modo di guardare alla realtà e ci insegnano in questo caso che fa più rumore un giovane scioperato, che butta la sua vita nel disimpegno e nell’egoismo infantilista, piuttosto di tanti disposti a fare, a progettare, a creare reti solidali.

Andando a celebrare le Cresime in tutte le nostre parrocchie ho raccolto, lungo un anno, tantissime lettere dei nostri ragazzi di 15-16 ai quali avevo domandato: «Scrivi una lettera, anche anonima, al Vescovo per condividere i tuoi desideri e le tue speranze». Leggerle è stato di conforto. Questi giovanissimi non vivono una vita facile, ma non la fuggono, la guardano in faccia con realismo. I loro desideri dominanti sono: una vita impegnata in un lavoro che produca il bene per loro e per gli altri. La costruzione di un legame affettivo stabile con la prospettiva della paternità e maternità, «sperando di essere dei bravi genitori». Una voglia pulita di giustizia e di pace, valori per cui sono disposti anche ad affrontare fatiche e rinunce.

Se questi sono i giovanissimi, cresce la speranza che domani, da giovani, faranno migliorare questi altri dati dell’indagine 2017. Coscienti delle difficoltà nel trovare oggi per loro un lavoro facile e ben pagato, i giovani italiani non si abbattono: basti pensare che il 70,8% è disposto a spostarsi all’estero per lavorare, con una percentuale più elevata rispetto ai coetanei delle altre nazioni. Oltre l’80% si dichiara disponibile a lavori manuali, quelli che forse un tempo non avrebbero preso in considerazione. E per 3 su 4 non è importante che siano coerenti con la preparazione posseduta, purché con remunerazione adeguata, creatività e flessibilità d’orario. Realismo, flessibilità, adattabilità caratterizzano i nostri giovani.

Interessante è anche lo loro capacità di leggere le motivazioni della situazione critica attuale. Per quasi il 30% il problema principale sono i limiti strutturali del mercato che dà poche occasioni, bassa qualità e contratti brevi e precari. In secondo luogo viene la situazione economica complessiva, al terzo posto la «preferenza data ai raccomandati», al quarto la «minore esperienza» (15,4%). Concorrenza degli immigrati e regole troppo rigide si attestano solo attorno al 5% delle risposte.
«I risultati ottenuti” – afferma il professor Alessandro Rosina tra i coordinatori dell’indagine – contribuiscono a superare una serie di stereotipi sul rapporto tra giovani e mondo del lavoro. Quello che le nuove generazioni disdegnano non è di per sé il lavoro manuale – che può essere stimolante e appagante – ma lo sfruttamento e la mancanza di valorizzazione. Quello che temono sono offerte di impiego che intrappolano in condizione di precarietà, in cui impegno e competenze non vengono riconosciute. Senza un miglioramento qualitativo del contributo dei giovani al sistema produttivo, in qualsiasi settore, difficilmente l’Italia può tornare a crescere e ad essere competitiva».

Certo non sono perfetti, la percentuale di quanti saltuariamente vivono esperienze ad alto rischio come abuso di alcool o sostanze è preoccupante. Rilevante moralmente è la banalizzazione dei rapporti sessuali ed affettivi piuttosto diffusa. Questo però non giustifica una squalificazione dei giovani, che di fatto sono ben diversi dalla immagine che di loro ci danno i media ed internet.

In definitiva, dopo aver dato uno sguardo panoramico all’attuale classe dirigente italiana, viene da sperare che questi giovani crescano in fretta, ne abbiamo tutti bisogno.

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