Sconcerto, insofferenza, sbigottimento, rabbia: sono i sentimenti che si affollano dopo i fatti di Como e ancor più dopo quelli di ieri a Roma, quando i palestrati combattenti contro il sistema di Forza Nuova hanno manifestano, a volto vigliaccamente coperto, contro giornalisti, spregiativamente etichettati “pennivendoli di regime”, che però ogni giorno firmano con nome e cognome quello che pubblicano assumendosene intera la responsabilità.

Chi come il sottoscritto ha attraversato gli anni 70 del secolo scorso vivendone momenti cruciali sulle barricate democratiche dell’Università ed era a Roma nei mesi tragici del sequestro Moro, non può accettare che si minimizzi l’allarme per la democrazia. 

Riguarda tutti, anche chi vive in una periferia lontana dai sussulti delle metropoli, in città e paesi all’apparenza sonnolenti.

E coinvolge sia chi opera nei media come informatore sia tutti i cittadini che di quella informazione fruiscono.

Per questo condivido volentieri la riflessione svolta da Vania De Luca, presidente nazionale dell’Unione Stampa Cattolica Italiana, associazione di giornalisti cattolici.

Nell’esprimere la nostra piena solidarietà ai colleghi di Espresso e Repubblica, come giornalisti dell’Ucsi non possiamo che sentirci parte di quella stampa libera che è un pilastro della democrazia, e che come tale va salvaguardata e difesa, perché è un bene comune, che ci riguarda tutti in quanto cittadini.

Quando un certo clima e certi modi di fare che pensavamo del passato si ripresentano, la risposta deve essere ferma, corale, decisa. Viene in mente un dialogo tra Giorgio Bocca e Primo Levi del 1985.

Alla domanda di Bocca su «come si fa a essere antifascisti oggi, che cos’è l’antifascismo oggi?», l’autore di “Se questo è un uomo” rispondeva:
«Una cosa confusa. A quel tempo, uno dei pochi vantaggi del nostro tempo, era di avere le scelte facili. Oggi la scelta è difficile, perché il fascismo lo ritroviamo intorno a noi annidato in dieci forme diverse. (…) Mascherato, inserito in certi modi di vivere, inserito nei partiti, inserito in una forma immorale di vivere, (…) in mille forme, per cui è a un tempo ovvio e inutile dire: io sono antifascista; va precisato».

Il nostro tempo è forse ancora più confuso rispetto a 30 anni fa, ma non ne abbiamo un altro. È dunque in questo tempo, in cui vediamo rispuntare segni di ciò che era annidato e mascherato, che bisogna cercare la chiarezza, rifiutare le zone grigie, ristabilire le giuste proporzioni delle cose, rifiutare ogni forma di ambiguità, precisare da che parte si è. Noi siamo dalla parte della democrazia. Dove speriamo di ritrovarci in tanti, e non tutti uguali se non in dignità e diritti. Perché da quella parte, e solo da quella, può esserci posto per tutti. A patto di sapersi riconoscere, e rispettare.

Vania De Luca, presidente nazionale dell’Ucsi

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