“Chiunque parli dell’edonismo californiano non ha mai passato un Natale a Sacramento”. Si apre con questa citazione di Joan Didion il film “Lady Bird”, uscito nelle sale italiane il 1° marzo e che si è presentato agli Oscar con 5 candidature uscendone però a mani vuote. Christine McPherson vuole farsi chiamare Lady Bird, si sente speciale ma si sente anche incompresa da tutti. «Ri-nominare è sia un atto creativo che religioso – afferma la regista Greta Gerwig – è un atto di paternità e autorialità e un modo per trovare la propria vera identità creandone una nuova». Al centro del film, oltre ai primi amori e le prime delusioni, c’è il difficile rapporto tra Christine e la madre, interpretata da Laurie Metcalf, dalle prime inquadrature alle ultime si vede e si percepisce tra le due un continuo avvicinarsi e allontanarsi, cercarsi e detestarsi.
Il tempo che corre, il bisogno di spiccare il volo ma poi la nostalgia e la consapevolezza di vederlo da lontano. E’ ciò che accade a Christine al suo ultimo anno di liceo, “vorrei tanto vivere qualcosa di memorabile, l’unica cosa entusiasmante del 2002 è che è palindromo” dice all’inizio del film. Ha un’incontenibile voglia di andare via da Sacramento, città in cui vive, che sente soffocante, non all’altezza di quello che pensa di essere e sogna di poter andare a New York. Protagonista del film, dopo “Amabili resti”, “Espiazione” e “Brooklyn” per i quale ha ottenuto le sue prime due nomination agli Oscar, è l’attrice irlandese Saoirse Ronan.
Greta Gerwig, al suo esordio alla regia, sembra aver inserito molto della sua storia personale e anche delle sue esperienze da autrice/attrice nel cinema Indie Americano, è Abbie in “20th Century Women” e prima ancora la trentenne newyorkese Maggie in “Maggie’s Plan”. Nonostante non porti novità nel panorama del cinema indipendente americano, il film della Gerwig è comunque un racconto di formazione, una commedia adolescenziale fresca e piacevole.