di Dario Edoardo Viganò

In molti mi hanno chiesto perché abbia pensato a Wim Wenders per dirigere questo film “con” e “su” papa Francesco. Potrei rispondere citando la sua lunga filmografia o il suo vasto palmares, ma la risposta, più semplicemente, è legata agli “angeli”. Ho conosciuto il cinema di Wenders – e la sua poetica visiva – da giovane, in seminario, e sono rimasto folgorato dagli angeli de “Il cielo sopra Berlino” (1987). Quegli angeli, così lontani dal cascame devozionale, marcati dalla poesia di Dante e di Rilke, sono come battiti di luce, meglio luce e movimento, come il cinema (più volte ho proposto proprio gli angeli come patroni della settima arte… e non desisto!). Gli angeli fanno la spola tra il cuore dell’uomo, segnato spesso da ferite e inquietudini, e l’orecchio di Dio, cui sussurrare implorazioni e intercessioni. E quello sguardo di Wenders, così profondo e lieve insieme, è rimasto radicato in me per anni. Per questo ho pensato al lui per un film con papa Bergoglio.

Così, nel 2015, è iniziata l’avventura. Ricevuto l’interesse di Wenders e l’assenso di Papa Francesco, si trattava di trovare dei produttori. Il progetto è divenuto concreto grazie a Samanta Gandolfi Branca, Alessandro Lo Monaco, Andrea Gambetta. Anche il regista Wenders e il co-sceneggiatore David Rosier sono intervenuti come produttori, convinti della forza del progetto.

Nel marzo 2016 sono iniziate le riprese, organizzate in quattro sessioni con il Papa, l’ultima ad agosto 2017. Abbiamo realizzato in totale 8 ore di girato con papa Francesco – considerando le varie camere, un totale di 20 ore – e 6 ore ad Assisi, con una hand camera della Twenties, seguendo la suggestione stilistico-narrativa di Wenders.

Ogni volta che si girava, confidavamo fiduciosi solo nella sua visione e ispirazione: l’accordo infatti prevedeva una completa e totale libertà artistica.

Così il film (della durata di 96 minuti) l’abbiamo visto solo a montaggio ultimato. Non ci sbagliavamo, una fiducia ben riposta.

Nel girare, il primo problema che ci siamo posti è stato quello della lingua. Wenders non parla italiano, ma lo comprende: oltre al tedesco, conosce molto bene lo spagnolo e ha scelto di utilizzare la lingua madre di papa Bergoglio per comunicare con lui.

Il primo incontro (e la prima location) è avvenuto in quello che in Vaticano si chiama il “Fungo”, un luogo tra Santa Marta e l’Aula Paolo VI. Mentre arrivavamo con papa Francesco, abbiamo notato Wenders in piedi con le stampelle, reduce da un piccolo intervento. Il Papa ha affrettato il passo verso di lui dandogli la mano: “La conosco! Lei è un grande artista”. L’emozione è stata forte, per Wenders e per tutta la troupe, ma poi, rapidamente, il tutto ha ceduto il passo alla semplicità dei rapporti.

Ho in mente un’istantanea dal set. Nell’agosto del 2017 la location prevista era vicino alla Torre San Giovanni, nei Giardini Vaticani. In agosto, si sa, il clima è più disteso e molte persone sono a godersi un po’ di riposo per riprendere poi il lavoro. Così, per non disturbare nessuno, il Papa, senza autista, è salito sulla mia “Pandina” Fiat per raggiungere il set. Arrivati, il pontefice ha salutato tutti, dal regista agli operatori, fonici e altro.

Un team internazionale multilingue, una vera comunità interculturale.

La passione per quel che si stava creando rendeva quel momento una piccola Pentecoste: tutti si capivano al di là della provenienza.

Cominciamo a girare. A un certo punto si alza il vento e sposta la mantellina del Papa, trasformandola in una specie di sciarpa. Al primo stop, commento: «Certo il vento ha spostato tutto…». E il Papa mi risponde: «Don Dario, questa è la vita! Siamo persone vive, non statue da museo». Un sorso d’acqua e riprendiamo. Dopo pochi secondi, questa volta non il vento ma un gruppo di pappagallini verdi inizia a emettere dei garriti, generando uno strepitio notevole. Alla fine del ciak mi avvicino al Papa: «Padre Santo, è la vita! Ora ho imparato la lezione».

Il film, che esce nelle sale italiane giovedì 4 ottobre, solennità di san Francesco, dopo un tour partito dagli Stati Uniti, Canada e gran parte dell’Europa occidentale, è un racconto intenso, avvolgente e compatto.

Volendo forzare la mano, possiamo dire che è composto da due momenti, che fanno parte della tessitura narrativa: anzitutto l’attenzione a gesti, parole e viaggi del Papa; inoltre, c’è un raccordo di parola e sguardo diretto allo spettatore, che aiuta a ritessere i cinque anni di pontificato.

Vanno ricordati poi alcuni inserti narrativi in bianco e nero girati ad Assisi, frutto dell’estro creativo di Wenders, che ha voluto richiamare il santo di Assisi, Francesco, da cui papa Bergoglio ha ripreso il nome come atto programmatico del suo pontificato: essere povero per i poveri, costruttore di dialogo e pace tra i popoli.

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