Cosa ha da dire il filosofo danese Soren Kierkegaard al mondo dei social media, a quello della post verità, agli algoritmi che creano o identificano le fake news? Nell’epoca della polarizzazione, delle bolle comunicative e dell’e-economy può un pensatore di metà ‘800 impartire lezioni ai media? Eppure l’Università Cattolica del Sacro Cuore e la St. John’s University di New York sono riusciti a riunire in un simposio filosofico e mediatico accademici, ingegneri informatici e gestionali, giornalisti provenienti dai cinque continenti per interrogarsi sul valore della verità ai tempi della disinformazione.

“Truth and Communication in the Age of Misinformation from Kierkegaard to Social Media”, non è stato solo il titolo dei due giorni di dibattito, che il 16 e 17 novembre ha animato l’Istituto internazionale di Comunicazione della St. John, ma ogni esperto ha fornito una bussola di orientamento nell’universo in cui l’informazione si trova a navigare spesso senza reali punti di riferimento e alle prese con pianeti comunicativi tutti da esplorare. “Kierkegaard è un filosofo fondamentale che ha saputo anticipare le problematiche di oggi quasi da veggente – spiega Ingrid Basso, ricercatrice del Dipartimento di filosofia dell’Università Cattolica -. Il filosofo, ad esempio, si chiedeva come da tanti granelli di sabbia distinti si possa arrivare a un mucchio, una qualità nuova che è fatta di infiniti granelli distinti.

Pensiamo alle fake news: dopo quanti tweet o condivisioni un’informazione, che non ha attinenza con i fatti e quindi non è necessariamente vera, conquista i titoli di un giornale e quindi acquisisce una nuova qualità di verità? La verità ratificata passa quindi da un numero indefinito di tweet e di persone; un po’ come diceva Kierkegaard dell’opinione pubblica: ‘Un’astrazione fatta da individui senza sostanza che non possono mai essere riuniti simultaneamente in nessuna situazione o organizzazione eppure sono considerati un insieme, mentre si tratta di un cadavere per la sua anonima inconsistenza’, eppure è un cadavere che, nell’informazione, pesa”. Ma il filosofo danese ha molto da dire anche sulla soggettività della verità, tipica caratteristica di chi vive sui social. “Kierkegaard invitava al coraggio del pensiero e alla responsabilità delle proprie opinioni e considerava l’individualità singola qualcosa che resta nel tempo e non viene cancellato dal mainstream: e questo i media dovrebbero tenerlo presente”.

Durante il simposio sono stati presentati modelli matematici, applicativi e algoritmi utilizzati per creare, classificare e riconoscere le fake news, tracciarne la diffusione, valutarne l’impatto sul pubblico, ma anche per studiarne l’incidenza nel dibattito politico odierno sempre più polarizzato e incapace di dialogo e apertura. “Il giornale più diffuso oggi è il ‘Daily me’ – spiega Simonetta Primario, ingegnere gestionale e ricercatrice alla Federico II e alla St. John -, cioè un quotidiano dettato dalle nostre preferenze e dai nostri gusti che ci racchiude dentro una bolla comunicativa, una specie di Echo chamber (cassa di risonanza) dove amplifichiamo ciò che vogliamo sentirci dire, difendiamo sempre e solo la nostra opinione, siamo disinteressati al fatto che il nostro pensiero sia giusto o sbagliato, poiché ci stiamo disegnando un mondo tutto nostro incapace di criticità e di accogliere la differenza”.

Nel sua analisi matematica della “Polarizzazione e della diffusione della disinformazione nel dibattito pubblico”, Primario evidenzia quanto le opinioni create e selezionate in rete su temi polarizzanti come i no vax in Italia, il controllo delle armi negli Usa, la pena di morte, si traducano poi in rinforzi in grado di diventare azioni concrete. “La polarizzazione e le echo chamber sono i meccanismi usati dai gruppi terroristici che costruiscono una bolla e non ti fanno vedere altro, fanno chiudere in sé e non aprire nessuna porta verso l’altro”. Tuttavia questa analisi può avere risvolti positivi ed è quello che Primario spera di ottenere da un esperimento nel liceo di Procida, dove i social verranno utilizzati per incoraggiare gli studenti ad utilizzare i mezzi pubblici e non il motorino. I like su messaggi o sugli spot o sui commenti saranno utili per capire quanto i social media siano parte integrante di un processo decisionale.

Basilio G. Monteiro, direttore dell’Institute for International Communication della St. John, ha spiegato che dopo 40 anni di studi su Kierkegaard ha compreso quanto il suo lavoro sulla verità e sulla ambiguità comunicativa siano fondamentali per comprendere “la nostra esperienza di comunicazione. Lui stesso aveva sperimentato l’incidenza delle fake news quando era stato oggetto di una falsa campagna diffamatoria sul giornale satirico Corsair ed è per questo che ci invita a sviluppare una comprensione critica del mondo. Io aggiungerei che bisognerebbe approcciarsi a giornali, tv, social con un pizzico di scetticismo, che non significa essere cinici, dubitare costantemente della loro veridicità, ma piuttosto dare senso e significato a quanto leggo o vedo, dargli una valutazione”.

Monteiro constata poi che le news stanno sempre più diventando delle commodities, una merce che alimenta una nuova economia, quella della conoscenza e dell’informazione, “ma il rischio per una merce è che l’avidità del mercato la orienti esclusivamente al profitto e quindi se le fake news fanno profitto, promuoviamole”. Il direttore mette in guardia dall’illusione di essere formati a questi modelli di mercato, perché anche se la nostra è una società di lauree e di diplomi “manca la cultura, manca il coltivare il senso critico, l’apertura mentale e per questo è a rischio la nostra libertà”. Il prossimo appuntamento per questo ciclo di studi e di riflessioni sarà a Milano e sarà dedicato alla comunicazione e alla verità nella prospettiva del cardinale Martini.

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