Era passato molto tempo da quando, insieme al marito, ci vedevamo di tanto in tanto nei miei ritorni dalla Missione. In ogni caso, insieme a tutta la famiglia, faceva parte di un gruppo che per anni mi ha seguito e sostenuto nel duro periodo di vita all’estero, quando in mezzo a polvere e fango tutto sembrava uguale e monotonamente triste.

Ero sempre in contatto con lei, anche attraverso i suoi familiari, e sempre ero informata sull’andamento della sua vita. Il lavoro che svolgeva insieme a quello dello sposo era abbastanza impegnativo e, pur non sentendoci così spesso, nel mio cuore lei apparteneva a quella cerchia di amici su cui puoi contare in qualsiasi momento.

Al mio rientro, in mezzo a tanta indifferenza, la trovai molto presente anche se lontana dalla mia diocesi. Mi dette l’impressione che, nonostante la distanza, il legame si era rafforzato. A differenza di altri che dopo il ritorno erano diventati estranei, perché ormai non facevo più parte di quegli “idoli” che da lontano si applaudono ma da vicino diventano un po’ troppo ingombranti, lei era presente.

Fu un vuoto che accolsi senza problemi, come una realtà già messa in conto. D’altra parte oramai la “carriera” di missionaria era terminata: ero come in pensione. Tutto quello che uno ha vissuto, sofferto, offerto fino a consumare fisicamente le ossa e la colonna vertebrale, non interessa più nessuno. Cosa pretendere se uno dà senza chiedere nulla e mette tutto nella banca del Signore che vede e provvede in maniera del tutto inaspettata?
In questo nuovo mondo che mi attendeva e che avrebbe segnato gli ultimi anni della mia vita, pur non programmandolo, per caso ci siamo incontrate. Ricorsi infatti a lei per dei problemi pratici che dovevo risolvere: la rinuncia ad un’eredità che non sapevo come gestire. Lei, esperta in contabilità e in tanto altro mi aiutò con dei consigli anche in materia di diritto.

Iniziammo a scriverci. Qualche frase di convenienza, qualche notizia sulla famiglia e poi, con i saluti, parole come: “Prega per me”. Mi rispose: “Io prego per te e tu per me”. In genere le persone sempre ci chiedono di pregare per loro, ma mai ci assicurano la loro preghiera. Questo senso di reciprocità mi incuriosì e mi dette la possibilità di poter approfondire un’amicizia che forse era destinata come tante altre a finire.

Mi raccontò delle sue difficoltà, della sua famiglia, dei suoi figli, fino a chiedermi di aiutarla a salvare quello per cui con tutta sé stessa stava lottando perché non andasse alla deriva.

Non ero un’esperta in materia. Ciò che potevo offrire era la mia esperienza, la mia conoscenza di Autori solidi che potessero dare un supporto a quella ferita aperta, sanguinante. Fu un esercizio di pazienza, ma soprattutto di ascolto delle ragioni e delle visioni non consone al mio carattere, che però mi aprivano uno spiraglio inaspettato, quasi irreale ma vero nelle sue varie sfaccettature.

Salvare un matrimonio, salvare l’unità di una famiglia non è opera umana ma divina: Dio, con la sua provvidenza interviene e questa volta mi aveva preso di mira per entrare in un mondo a me completamente sconosciuto.

Sentivo e percepivo che penetravo in una realtà dove forze invisibili agivano, riscoprivo il mistero del male che minava la parte più importante e più fragile della vita della mia amica.
Allora ricorsi a ciò che di più semplice vi può essere in una vera amicizia: la corrispondenza. Una lettera e poi un’altra fino a che divenne per entrambe un antidoto a quello che il mondo ci prospettava: l’indifferenza, la banalità, il lasciar perdere, il prendere le scorciatoie.

Scoprii che lei lottava come una guerriera, con la corazza di un’anima fedele e ferma. Non si lasciava scoraggiare ed io cercavo di rinsaldare la fiducia in quella battaglia tra il bene e il male. Un male che sempre di più mi appariva subdolo e beffardo, che cercava di scardinare quello che lei aveva costruito con tanto amore e passione: la sua famiglia. Ricorsi a tutto quello che avevo a mia disposizione, oltre naturalmente alla preghiera, ma la cosa più bella e disarmante era come lei rispondeva con entusiasmo ai pochi e poveri consigli che potevo darle. Nella solitudine in cui la tragedia l’aveva lasciata, un piccolo saluto era come il ristoro di un’acqua fresca. Di tutto ringraziava e niente pretendeva.

Quando si lotta insieme le battaglie si vincono e alla fine anche la guerra. Io ne sono sicura, per questo ogni sera mi accingo a scrivere e lei sempre mi risponde.

Allora penso che niente viene per caso: quell’eredità sfumata nel nulla per cui ero ricorsa a lei, il Signore me l’aveva donata sotto la forma della la sua amicizia.
Ho scoperto il conforto di questa bella eredità, cantata anche nei versi di Padre Maria Turoldo:

Penso che nessun’altra cosa ci conforti tanto,

quanto il ricordo di un amico,

la gioia della sua confidenza

o l’immenso sollievo di esserti tu confidato a lui

con assoluta tranquillità:

appunto perché amico.

Conforta il desiderio di rivederlo se lontano,

di evocarlo per sentirlo vicino,

quasi per udire la sua voce

e continuare colloqui mai finiti.

M.L.R

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