di Lauro Paoletto* 

Uno dei rischi che corriamo oggi in questa società liquida è quello di rendere tutto neutro, incolore, insapore, inodore. Tutto può sembrare indistinto, finto, svuotato del suo senso più profondo. È quello che rischia di accadere anche al presepe. Qualcuno vorrebbe ridurlo a un simulacro culturale delle nostre comunità. Come ci sono le sagre, le fiere e le sfilate di carnevale, ecco c’è anche il presepe. E per questo va promosso addirittura come elemento culturale laico da brandire contro chi non sarebbe di origini autoctone (in particolare musulmani e simili). Salvo poi accorgersi che, a chi è di un’altra religione, il presepio non è che poi dia proprio tutto quel fastidio che qualcuno pensa (o spera).

Nella mia famiglia il presepio è sempre stato presente. Ogni anno in casa era diverso, attualizzato: una volta a forma di mappamondo con dentro piccoli carro armati a indicare i luoghi del globo dove c’era la guerra e in ognuno di questi posti un piccolo Gesù Bambino. Un anno poi il presepio prese la forma di un treno sventrato da una bomba (nell’agosto precedente c’era stato l’attentato all’Italicus). La tradizione continuò e continua con lo sforzo di far parlare quella rappresentazione che per qualche settimana convive con le varie faccende di casa. È il tentativo piccolo e semplice, che ancora in tante famiglie si fa, di far incrociare l’evento della nascita del Salvatore con la nostra vita di oggi.

Per carità il presepio non ha alcuna autorevolezza liturgica o sacramentale e quindi non va certo caricato di significati e valori che non ha.

È però una rappresentazione che ci richiama l’Evento più sconvolgente della storia umana: il mistero dell’Incarnazione, il Divino che entra nella Storia,

l’Infinto che assume sembianze nel Finito. Quando San Francesco pensò a Greccio il primo presepio, aveva in mente tutto questo.

Al di là del rispetto che sempre sarebbe richiesto di fronte a segni che hanno all’origine una valenza religiosa, sarebbe troppo chiedere a chi non ha il dono della fede o comunque non ha tra le proprie domande fondamentali quelle sul Mistero della vita, di fermarsi un attimo prima di banalizzare anche questi segni? In qualche caso sembra proprio di sì: chiedere questo è chiedere troppo. E così anche il presepio (come altre cose religiose) è tirato dentro il circo del consumo. È questo un motivo per abbandonare il rito del presepio, inteso come rimando all’Evento della nascita di Gesù il salvatore?

Personalmente ritengo di no, anzi, è un motivo di più per farlo, pensando al suo significato e magari rendendolo luogo davanti al quale pregare in famiglia, la sera.

(*) direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza)

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